TRAMA
Città di Summerville, notte: un uomo è inseguito da una misteriosa entità nella sua fattoria, cerca di attivare uno strano marchingegno che non funziona e viene ucciso. Anni dopo, la figlia dell’uomo e i figli di lei si trasferiscono nella stessa fattoria…
RECENSIONI
Non ho mai amato Ghostbusters (1984), né da bambino, né da ragazzo né da adulto. Certo, ne ho subito l’impatto, come tutti quelli della mia generazione: ho cantato la canzone di Ray Parker Jr., biascicando il testo alla meno peggio, ho giocato al mediocre tie in della Activision su C64, ho comprato qualche gadget e ho anche cercato di ri-vederlo ogni tanto per capire come mai non mi fosse mai piaciuto. Quello che però gli va riconosciuto – o va constatato – è che non si tratta(va) di un film “alla Goonies”, “alla Gremlins” o “alla Ritorno Al Futuro” che, se pure avessero più parolacce e più scorrettezze del previsto (e/o di quanto ci ricordavamo a ogni re-visione), erano/sono comunque film per ragazzi, o per famiglie. Il film di Reitman risentiva invece della verve comica più obliqua e irriverente di Harold Ramis e Dan Aykroyd che l’avevano sceneggiato, quindi del Saturday Night Live, del The National Lampoon Show, di John Belushi (che nel progetto originale avrebbe dovuto far parte del cast), insomma ci siamo capiti. Comicità che mal si amalgamava con gli elementi più banali e leggeri da commedi(ol)a fantastica, creando uno strano mix poco coeso e coerente, molto effettato (e invecchiato davvero maluccio, da quel punto di vista), dal ritmo zoppicante e solo sporadicamente divertente.
Ma, si diceva, l’eredità del film di Ivan Reitman trascende sicuramente i suoi meriti intrinsecamente cinematografici e una sua celebrazione nostalgica a distanza di (non pochi) anni ci può anche stare. Cosa decide di fare Jason Reitman? Fondamentalmente: omaggiare e insieme tradire il lavoro del babbo. Omaggiare, perché il film pullula di piccole e grandi citazioni più o meno esplicite e perché, ovviamente, tutta la parte finale coi vecchi Ghostbusters riuniti è pensata per colpire durissimo al cuore del nostalgico – complice anche l’omaggio allo scomparso Harold Ramis, che sublima il fatto cinematografico, sfondando con apparente sincerità la quarta parete -. Anche se forse sarebbe più appropriato parlare di progressivo avvicinamento al Ghostbusters del 1984, con esplosione protonica finale. Tradire perché è come se Reitman avesse dato consistenza filmica al malinteso di fondo che inserisce Ghostbusters nel calderone dei “film per ragazzi/bambini degli anni ‘80”, con giusto una spruzzata attualizzante di Stranger Things, certificata dalla presenza di Finn Wolfhard.
Legacy è, infatti, una sorta di mashup che percorre in lungo e in largo certi eighties con citazioni linguistiche - alcuni esterni notte alla fattoria sembrano calchi di E.T. -, altre che riguardano i personaggi – il bambino orientale nerd preso in prestito dai Goonies -, altre ancora meno evidenti ma ancora più precise – i mini-marshmallows che inizialmente si mostrano teneri e carini per poi trasformarsi in mostriciattoli malefici sono i Gremlins, nella loro metamorfosi da mogwai a, appunto, gremlin -. Il tutto servito con effetti speciali moderni ma non troppo, che spesso rinunciano, anzi, alla contemporaneità vivente per mimare subliminalmente la chincaglieria d’epoca (il quasi-passo-uno che anima i nuovi Terror Dogs e che li fa somigliare, anche nelle movenze, agli Zuul e Vinz Clortho dei vecchi tempi). Al netto di una ventina di minuti di troppo, si può dunque e comunque riconoscere a Ghostbusters: Legacy lo status di operazione riuscita. Inaspettatamente, riuscita.