TRAMA
Un cronista rimpiazza una collega morta in un incidente e si occupa del caso di un condannato a morte. Il suo fiuto gli suggerisce che è innocente.
RECENSIONI
Nel selvaggio West, nel cuore dell'Africa, nei panni della Legge o da fuorilegge, Clint Eastwood continua a mettere in scena il proprio anti-eroe, emerito figlio di puttana che deve dimostrare qualcosa a se stesso e impugna la lancia contro i mulini a vento, seguendo l'istinto, il piacere immediato (donne, alcool) per lenire le ferite, fregandosene delle pantomime sul torto e la ragione, delle comode dicotomie fra bianco e nero, del "lato umano" delle vicende: è un uomo d'azione, va dritto al sodo, stringe i denti e non demorde. Quest'opera non conta tanto per l'espediente spettacolare della corsa contro il tempo o per l'impegno civile nel dibattito sulla pena di morte, entrambi ormai abusati, ma per l'ennesima, intensa messinscena del Cacciatore Bianco, Cuore Nero, che paga con la solitudine la fecondità del proprio individualismo, portando da solo il peso dei fallimenti. È pesante il braccio di ferro fra i buoni propositi nella definizione dei caratteri e le trame oggettivamente stereotipate (se non inverosimili) dello script ed i tempi laschi delle parentesi da melodramma sentimentale. Ma il film s’illumina nei duetti brillanti impagabili (quelli con James Woods in redazione) e nei moti di tenerezza (con la figlia allo zoo) che, appositamente, impediscono di dare un giudizio definitivo sul personaggio. La parte finale ambigua è, in questo senso, di gran classe: il protagonista vede un fantasma o la realtà? C'è solo dato sapere che ogni vittoria porta dietro di sé una sconfitta, che l'elefante chiede sempre un sacrificio al cacciatore per spolverare il cuore nero. Il "vero crimine" (titolo originale) è quello di Stato, di chi smette di lottare per la ricerca della verità, dell’assurdo per cui se vinci (l’indagine), perdi (la famiglia), se perdi (la condanna a morte), vinci (la verità).
