TRAMA
Vita e delirii di Domino Harvey, modella, bounty hunter
RECENSIONI
La filmografia di Tony Scott è indubbiamente costellata di filmacci che, quando non sono confortati dalla mitizzazione a-filmica (Top Gun), scadono nella schifezza forte e chiara (Giorni di Tuono) ma offre anche qualche chicca. Un film come Nemico Pubblico, ad esempio, nel suo genere si aggira a testa altissima e anche L’ultimo boyscout, per dire, rientra a pieno titolo nella categoria (da non sottovalutare) di stronzata divertente; ma è quando la dark side di Tony prende il sopravvento che volano le scintille. Una prima avvisaglia ci era giunta, inattesa, con Revenge: un film decisamente troppo “sbagliato” per uno che veniva da Top Gun e Beverly Hills Cop II. Si affacciava cioè il marchio di fabbrica del miglior Tony Scott, l’incontro-scontro tra due poli: uno “lineare” (patinato/clipparolo?) e un altro decisamente più “sporco” e obliquo. Una vita al Massimo era stato, ad oggi, l’esempio più cristallino di questo patto diabolico tra il mainstream e il dirty cool, con la sceneggiatura di Tarantino perfettamente strippata in abiti solo teoricamente inadeguati. Il che ci porta dritti a Domino – ossia – un Tony Scott ipercine(ma)tico che finge di girare un improbabile e scomodo biopic piegando(si a?) una sceneggiatura di Richard Kelly (Donnie Darko) che spesso lo porta davvero “troppo” lontano. Una storia vera e/ma/dunque assurda (giovane modella figlia di noto attore diventa una cacciatrice di taglie?!?) viene così parafrasata alla perfezione perché colta nella sua essenza e non nella sua inutile attendibilità. Ecco dunque che tutto va al suo posto: l’armamentario visivo contundente (inquadrature nervose, montaggio anfetaminico, saturazioni e desaturazioni, accelerazioni e ralenti) gli spudorati inganni narrativi svelati in flashback, le derive donniedarkiane (Tom Waits che spunta fuori dal nulla, nel deserto, e dispensa saggezza) e un solo frammento di realtà (il volto della vera Domino Harvey) relegato ai fotogrammi finali e dunque genuinamente shockante, perché brusco e inatteso risveglio prima delle luci in sala. Cast spettacolare, con Keira Knightley inadeguata ad hoc (e Brian Austin Green che glielo fa metacinematograficamente notare beccandosi una metacinematografica pizza sul naso), Mickey Rourke troppo Mickey Rourke per essere vero, Lucy Liu finalmente immobile in primo piano e gli ex-non-attori Ian Ziering col già citato B.A.Green (Beverly Hills, 90210) as themselves, in splendida coppia autoironico/lesionista. Più o meno piccoli ma lussuosi ritagli per Jacqueline Bisset, Christopher Walken (giù il cappello) e un Tom Waits spettrale quanto meravigliosamente superfluo.