Carcerario

CELL BLOCK 99

TRAMA

Tradito dalla moglie e perso il lavoro, l’ex pugile Bradley Thomas vede la sua vita andare a pezzi. Così, per tenere in piedi la baracca e ricostruire una vita dignitosa insieme alla coniuge, torna a lavorare nel traffico di stupefacenti. Ritrovatosi coinvolto in una sparatoria tra poliziotti e presunti soci d’affari, Bradley finisce in carcere, dove viene costretto a compiere azioni di estrema violenza per salvare la moglie in dolce attesa.

RECENSIONI

Ecco, finalmente, un film per cui l'espressione "discesa agli inferi" non è più una cenciosa iperbole da sfoggiare nelle recensioni, ma una sintesi pressoché letterale della parabola disegnata dal protagonista. In Cell Block 99, secondo lungometraggio cinematografico del regista, sceneggiatore, direttore della fotografia, romanziere e musicista Steven Craig Zahler, tutto è all'insegna della basicità più sfrontata: tre atti che funzionano come gradini che conducono inesorabilmente alla ferocia più parossistica, un protagonista (Bradley Thomas, un Vince Vaughn gloriosamente tetragono) che si porta fisicamente la croce addosso (gigantesca, tatuata sul cranio) e, vivaddio!, l'assenza di qualsiasi sottotesto da estrarre puntigliosamente (ogni singolo aspetto sociopolitico viene difatti sbandierato con squillante cristallinità).

E se l'ascendenza carpenteriana è tratto costante e inconfutabile, la derivazione non scade mai in stanca derivatività, ma è affinità di visione che si oggettiva in austerità di linguaggio. C'è di più: la disadorna quintessenzialità di Cell Block 99 si spinge a secchezze quasi fulleriane nel fraseggio visivo (la totale assenza di soggettive provenienti da Bradley, rimpiazzate da più leggibili semisoggettive) e a ruvidezze nella rappresentazione della violenza che trascinano la spregiudicatezza distruttiva di Gaspar Noé o Nicolas Winding Refn (braccia fratturate, teste calpestate fino allo spappolamento) nella più spiccia brutalità siegeliana. Inferno in tre atti: semplicemente esaltante.