Animazione

CARS

TRAMA

“Saetta McQueen” è una macchina da corsa vanesia e senza amici che vuole vincere la Piston Cup: per un incidente, però, si ritrova in una cittadina sulla Route 66 dimenticata dalla civiltà, dove riscoprirà il valore delle piccole cose.

RECENSIONI

Il nuovo film della Pixar si regge su una formula più che collaudata – una parte commedia, una parte romance, una parte romanzo di formazione – che marcia senza particolari intoppi per quasi due ore, un’eternità per un film di animazione digitale. La morale è solida – amicizia vs. individualismo – e le gag spassose, specialmente quelle riservate al duo Italiano, Luigi (la Fiat 500 Tony Shalhoub) e Guido (il gommista Guido Quaroni) i quali vivono aspettando la miracolosa visita nella loro modesta cittadina di una Ferrari. Ci si aspettava di più dalla performance del veterano del volante e dello schermo Paul Newman (il pluricampione stagionato Doc Hudson) e da uno degli attori comici più completi del momento, Owen Wilson (Lightening McQueen – doveroso chapeau al leggendario attore/pilota). I due non fanno brillare i loro pistoni vocali come avrebbero potuto, ma consegnano comunque un doppiaggio solido e senza sbavature. Straordinario è invece Larry the Cable Guy, icona dell’umorismo redneck su Comedy Central, che regala un’impeccabile Mater, il carro attrezzi che insegna a McQueen il valore dell’amicizia. Geniale il notturno tractor (cow) tipping dei due giovinastri, che viene a riassumere (e stereotipare) l’atmosfera della noiosissima america rurale, dove il rito di passaggio all’età adulta consiste nell’acquisire l’abilità di rovesciare le vacche su se stesse. Meno solido di Finding Nemo, Cars si fa apprezzare maggiormente quando si lascia andare alla comicità anche gratuita – come negli impagabili titoli di coda – e rallenta notevolmente quando cerca invece di sviluppare i personaggi e la trama.

La piccola strada blu e l’autostrada, coi loro ritmi e le loro “vedute” differenti. Le automobili arrugginite e le saettanti macchine da corsa. Dal momento che la vita, come recita una delle (mielose) canzoni di Randy Newman, è una strada accidentata, il sillogismo si compie: le automobili siamo noi. Noi, con il moderno e post-moderno culto della velocità e delle frenetica accumulazione. Noi, con la smania del successo e della visibilità. Noi, con il bisogno di riparare, anche accidentalmente, in un piccolo paesino lungo una strada oramai abbandonata (la mitica Route 66, quella di Steinbeck, di Kerouac e compagnia cantando). E’ il Grande Racconto Americano, archetipico, sulla riscoperta dei miti fondatori, sul recupero della memoria che passa attraverso il contatto con una piccola comunità isolata, autosufficiente e lontana geograficamente ed eticamente dal trambusto cittadino, che il cinema ci ripropone a cadenze regolari: da Capra al recente e stomachevole Elizabethtown. Cars si inserisce a pieno titolo in questa antica tradizione, mutuando alcuni dei topoi che ad essa appartengono, ivi compresi la figura del Grande Vecchio, con il saggio e lungimirante Doc Hudson (nomen omen), non casualmente doppiato da una delle “voci delle frontiera” Paul Newman, e la love story in funzione catartica, con l’affascinante Porsche Sally Carrera, ex avvocato di grido di Los Angeles, doppio femminile del vanesio ed ingenuo protagonista Lightning McQueen. Dunque, proprio perché attinge ad un repertorio già ampiamente sfruttato e codificato, il plot è inevitabilmente prevedibile, così come sono ampiamente telefonati gli sviluppi ed il retorico e conciliante lieto fine.
Lasseter, che non firmava direttamente la regia dai tempi di A Bug’s Life, si conferma il numero uno dell’animazione digitale, con buona pace della Dreamworks/Universal e della Fox. Tecnicamente, l’ultima creatura Pixar sfiora la perfezione nella definizione dei dettagli e nella ricostruzione dei grandi spazi, riuscendo a restituirci squarci fordiani di struggente bellezza, così come straordinaria è la “mobilità” dello sguardo, che si dipana in volute amplissime e “dolly” vertiginosi. A livello di sceneggiatura, sono azzeccatissime alcune figure di contorno: gli italoamericani cultori della Ferrari, lo scassatissimo scavezzacollo Mater e l’irresistibile duetto/duello musicale che ha per protagonisti la Jeep guerrafondaia ed il furgoncino Transporter Volkswagen hippie, che all’alba ribatte al classico inno americano da caserma con la versione ruvidamente rock di Hendrix. Risultano geniali alcune intuizioni, in particolare l’idea dei trattori/vacche o del camion dei pompieri che, ovviamente, ha la lacrima facile, così come sono visivamente notevolissime e funzionano egregiamente come omaggio alla Old America certe sequenze (il “ballo” notturno sulla strada riasfaltata e sotto le insegne al neon finalmente riaccese) e colpiscono alcune suggestioni quasi beckettiane (il semaforo perennemente giallo, ad esempio). Per non parlare dei titoli di coda. Lasseter vorrebbe caricare la parabola del corridore ipersponsorizzato, protagonista ed al tempo stesso vittima della società dello spettacolo in cui ogni personalità di talento viene presto fagocitata dal sistema e venduta al miglior offerente, sfruttata fino al naturale esaurimento e poi rigettata ai margini della società come vecchia ferraglia non più produttiva, di significati ulteriori, criticando velatamente il sistema dall’interno, e lo fa ricorrendo alla tattica dello “spostamento” (come già nel microcosmo di A Bug’s Life). Tuttavia, in quest’occasione l’amore per le proprie “creature” digitali, per quel mondo, o molto semplicemente le esigenze di mercato, ridimensionano in parte la furia iconoclasta che contraddistingue, quale minimo comun denominatore, quasi tutte le opere Pixar. Lasseter cede in più di un’occasione alla melassa, molte pagine sono eccessivamente zuccherose, il finale esageratamente accomodante: tutti sembrano salvarsi per il rotto della cuffia, ivi compresi i “mostri” sbeffeggiati fino a quel momento (la grande multinazionale Dinoco, sponsor cui aspirano tutti i concorrenti, che addirittura concede un volo panoramico a bordo di un elicottero al buon Mater, atto di generosità che in parte la riscatta “moralmente”, cosa che non accadeva, ad esempio, al “petroliere” senza scrupoli di Monsters, Inc.).
Alla fine, non ci sono più “cattivi”, il pubblico plaude il perdente generoso ed altruista, e tutti vivranno felici e contenti. Ma a rischio diabete….

A chi Toy Story 2 era piaciuto molto, Monsters, Inc. moltissimo e Finding Nemo anche di più, comincerà a mancare un po' il Signor Andrew Stanton. Dietro a questa triade, infatti, in cui le magnifiche sorti della Pixar parevano diventate decisamente progressive, c'è proprio la scrittura di Stanton a fare da collante. Il successivo Gli Incredibili e quest'ultimo Cars, prendendo Nemo come optimum mix di sfarzo tecnologico, ritmo e consistenza tramica, paiono zoppicare non poco e proprio nel reparto sceneggiatura. La cosa significativa, di Cars, è che sembra prendere atto della situazione e andare 'alla ricerca di Nemo' nelle scelte di fondo, riproponendone la struttura da romanzo di formazione e delineando un protagonista che col piccolo pesce pagliaccio condivide alcuni tratti fondamentali (giovane età, carenze affettive con difficoltà nelle relazioni amicali, tenero connubio di coraggio e ingenuità). Inutile dire che non bastano gli ingredienti ma serve un bravo cuoco e Lasseter si dimostra solo bravino: Cars è un film fondamentalmente prevedibile, infarcito di troppi topoi di genere/i, a forte rischio tenuta e decisamente forzato nel far combaciare tutti le tessere di un mosaico che alla fine risulta così rassicurante da diventare semplicemente melenso. Restano un reparto tecnologico sopraffino (dai riflessi sulle carrozzerie alla grandeur paesaggistica, una vera dimostrazione di forza) qualche numero comico riuscito e, in attesa del DVD, un doppiaggio che non ci risparmia le consuete, irrispettose scelte imbecilli, con le voci di Trulli, Zanardi, Capelli e Fisichella. Pietà.