
TRAMA
All’inizio degli anni Ottanta Jack e Rebecca, coppia innamoratissima, stanno per veder nascere i propri tre gemelli, ma qualcosa non andrà come previsto. Oggi Kate, Kevin e Randall sono tre fratelli tanto diversi quanto uniti.
RECENSIONI
This Is Us è il family drama di maggior successo negli Stati Uniti degli ultimi anni, ma anche uno dei più tradotti all’estero, anche attraverso un notevole numero di remake nazionali. Quel che è più interessante della serie, esplosa al suo esordio nel 2016 e conclusasi proprio quest’anno, è la sua capacità di rinnovare il genere. This Is Us è un dramma famigliare raccontato per alcuni versi come un thriller, impostato come un Lost consumato tra le mura di casa, con continui flashback e flashforward.
Il telefilm certamente affascina dalle prime puntate per la sua solida struttura narrativa, per il talento nel generare suspense irresistibile su un passato nella sostanza già noto ed un futuro abbastanza lontano, in un gioco ad incastri che si fa spesso rompicapo sui divani casalinghi quanto sui social – menzione d’onore per l’arrivo dei “nonni” nel presente, con Miguel accanto a Rebecca, ma anche per il gioco di fedi al dito e matrimoni shock nelle sequenze del futuro.
Il colpo vincente della serie arriva, d’altra parte, ancor prima, dalla sua capacità di mostrare spudoratamente i sentimenti – soprattutto quelli che legano genitori, figli e fratelli – generando empatia. Forse forzando persino troppo la mano, in un continuo correre sul filo sottile tra poetico struggimento e patetismo o ricatto morale. Una serie che si ama o si odia, ma sa mettere in scena i legami familiari con innegabile stile, forte anche dei suoi personaggi, una famiglia meravigliosa quanto bersagliata dalla sorte. Il capofamiglia Jack rappresenta il dedicarsi totalmente, il prendersi cura. Come Kevin, che però a volte perde la strada. Rebecca, la madre, è l’esserci ed amare. Sono meno simbolici e più complessi i tre figli, ma sempre nel solco del modello genitoriale. Ciascuno dei protagonisti viene raccontato con le sue grandi debolezze in evidenza, sciorinate a coprire un esaustivo spettro di problemi psico-fisici, personali, relazionali.
This Is Us ha anche il pregio di saper incarnare la quintessenza dei riti e dei temi in auge negli Usa, girando per i diversi stati del Paese, inglobando senza forzature l’attualità (la questione razziale, la pandemia, la crisi economica), mettendo al centro della scena alcolismo, obesità e bulimia, stress sociale e attacchi di panico, depressione, tossicodipendenza.
Ogni stagione inizia con il giorno del compleanno dei tre fratelli, che riunisce tutta la famiglia e porta con sé un bilancio esistenziale. La puntata del Giorno del Ringraziamento (appuntamento fisso, come in Friends) si presenta invece, sempre più, come una resa dei conti (al punto che Beth lo afferma esplicitamente, con non poca ironia). I momenti topici, dunque, sono sempre quelli che vedono insieme i membri della famiglia, attorno alla quale tutto invariabilmente ruota.
Il meccanismo non fatica minimamente ad ingranare, frutto di un disegno preciso, evidente soprattutto all’inizio ed alla fine, ma mai causale salvo qualche probabile allungamento.
Se le prime due stagioni ricostruiscono lentamente la straziante perdita del padre (e la scena che svela la sua morte è una sorta di cesura nella serie), le ultime ci conducono, per indizi e salti temporali, alla perdita definitiva della madre. La terza stagione è non a caso la più debole ed irrisolta (riscattata dall’episodio finale con il primo, fondamentale, flashforward), con il Vietnam ad irrompere dal passato in un modo che può apparire pretestuoso e con l’introduzione di un nuovo membro della famiglia con una spiegazione improbabile. Qui nasce uno dei problemi più evidenti: l’obiettiva difficoltà di garantire un ruolo a Jack, il cui spazio nelle puntate, senza presente né futuro, una volta ricostruita la sua morte, è da riscrivere. I flashback con Jack con l’avanzare delle stagioni risultano talvolta ripetitivi e non essenziali, sebbene la sua presenza sia invece irrinunciabile, sia perché tutto sembra derivare dal suo bellissimo personaggio, sia per come Milo Ventimiglia ha saputo dargli forma. Non è l’unica forzatura, ci sono personaggi decisamente di troppo, pensati per macinare puntate ma non interesse o sviluppi – si avverte nella quarta stagione con l’innesto di Cassidy, ed anche con l’inverosimile “resurrezione” della madre di Randall.
Non tutto funziona, quindi. In una storia che ha tra i propri assi portanti il percorso di maturazione e cambiamento degli individui in relazione alle esperienze vissute, la crescita di Madison, Kevin, Kate, convince non pienamente per come viene resa agli occhi dello spettatore, ma anche la crisi tra Kate e Toby sembra più imposta dagli autori che giustificata.
Eppure risulta facile chiudere un occhio quando tornano in scena i cavalli di battaglia della serie: il limone più aspro da cui trarre una limonata, il gioco dell’ipotesi peggiore tra Beth e Randall, i momenti riempiti da William.
This Is Us, inoltre, segue un percorso verso la conclusione coerente e perfettamente congegnato. Benché i flash passato/presente siano una delle cifre della serie, è soprattutto nelle prime puntate e nelle stagioni finali che appaiono parte di un ingranaggio perfetto.
Se in principio si mettevano a confronto i personaggi insieme nelle diverse fasi della vita, evidenziando gli effetti delle esperienze vissute, all’approssimarsi del finale si insiste molto sulla circolarità. Sono molto frequenti le scene alternate tra passato e presente a sottolineare quel che il tempo toglie irrevocabilmente e quel che si rinnova. I Big 3 si prendono cura della madre malata come lei ha fatto per tanti anni per loro, tra sforzi, fatica e rinunce: è quel che i figli possono/devono restituire ai loro genitori. I tre protagonisti bambini giocano con i genitori ormai perduti ed i loro figli giocano tra loro. Una giacca sulle spalle oggi come molti anni prima, un biglietto d’amore (la storia di Kevin e Sophie).
Vengono tramandate tradizioni (il Superball, da Jack a Kate, i gamberi, da Jack al suo nipote omonimo, i riti del Giorno del Ringraziamento come Scuola di polizia 3 ed il cappello del padre pellegrino, la ricetta segreta della torta, dalla madre di Rebecca a Rebecca a Kate), nomi (Jack, William), aneddoti, il gioco della coda dell’asino, scelte di vita (su tutte l’adozione) e, ovviamente, modelli di comportamento.
Pur inanellando sfortune ed evocando tanto dolore, This Is Us rassicura affermando qualcosa che l’essere umano sempre chiede come consolazione per la sua mortalità: qualcosa di ogni individuo sopravvive, nel ricordo e in quel che tramanda alle generazioni successive, a chi ha toccato col proprio amore e la propria cura.
Nell’ultima puntata i tre fratelli si confessano, con un po’ di senso di colpa, che se chiudono gli occhi pensando “famiglia”, viene loro in mente per prima quella d’origine. Ma la serie non fa che ricordare come la famiglia d’origine orienti e riviva nella famiglia che ci si crea da adulti.
La materia prima in gioco è per sua natura struggente e quasi universale ed anche i più insofferenti ai risvolti rosa avranno difficilmente trattenuto le lacrime nel corso delle puntate che raccontano la perdita dei genitori. Il punto è che This Is Us, complici regia, dialoghi, interpretazioni, colonna sonora, pause, sguardi, sa giocare quasi sempre benissimo le sue carte.
