Commedia

NITRATO D’ARGENTO

TRAMA

Il cinema muto, la Hollywood dei tempi d’oro, il neorealismo italiano: e oggi?

RECENSIONI

Si parte dai primi stupori davanti al cinema muto, al western, a Charlot, La Bambola di Carne, Il Bacio: uomini e donne stavano in file separate ma in sala si concepivano molti figli. Poi la Hollywood dei tempi d’oro, la sua ipocrita retorica democratica (ai neri era vietato mettere piede in sala), la paradossale somiglianza fra un film di gangster (Le Due Strade) e la vita quotidiana. Si passa alla Francia occupata dai nazisti (La Notte Fantastica di L'Herbier) e al neorealismo italiano dove Ferreri si autocita nel "Documento Mensile", in cui intervista Vittorio De Sica sul set di Ladri di Biciclette. Per festeggiare il centenario del Cinema, Ferreri suggerisce che "È ora che i film comincino a guardare i propri spettatori". Vuole raccontare la storia della Settima Arte e la Storia tout-court (perché il cinema è specchio della vita e viceversa) attraverso un'osservazione critica dei fruitori della prima. L'autore ha nostalgia del pubblico "popolaresco" che al cinema s’accampava, mangiava, urlava, sveniva per Valentino: le compassate platee borghesi moderne assomigliano ad impassibili manichini. Anche i sessantottini, destrutturandolo e demistificandolo, mostravano più amore per il cinema. È da antologia la sequenza in cui i ragazzi del Cineclub proiettano il volto di Ingrid Bergman (Stromboli) addosso ai clienti di un ristorante. Una volta c’era l’odiosa censura, quella che vietò ai minori di 18 anni il suo La Grande Abbuffata, oggi ci sono l’imperialismo della Tv e l'invasività del sesso consumato ovunque, anche in allegoriche "ammucchiate" al cinema, durante la proiezione di film cinesi insulsi o di valore (Lanterne Rosse) che il pubblico preferisce al cinema italiano (fra cui il porno Tarzan Sex di Joe D'Amato!). Un atto d'amore atipico trasformatosi in testamento artistico, un film eccitante ed eccentrico più sulla carta che nei fotogrammi che s’avvicendano in modo troppo episodico, di frequente ellittico e confuso, evocanti più un documentario di montaggio che l’apologo satirico, malinconico e graffiante che era nelle intenzioni dell’autore.