
TRAMA
Novembre 2015: dopo gli attacchi dell’Isis su suolo francese, i cinque giorni in cui l’antiterrorismo era sulle tracce degli attentatori, fra errori e testimonianze illuminanti.
RECENSIONI
Rievocazione di evento tragico a parte, qual è l’obiettivo di Cédric Jimenez? Se è l’elegia dell’impegno delle forze dell’ordine, non è ben chiaro per quale motivo, di tutta la cronaca possibile degli eventi, la sceneggiatura metta in risalto errori vari (la missione fallita ad Atene; il capo degli attentatori creduto morto; il capitano Inès Moreau che, non seguendo le procedure, fa arrestare un infiltrato; la porta che non salta nel finale; il trattamento riservato alla testimone) e finisca per asserire, in pratica, che la missione ha avuto successo solo grazie alla testimonianza di una brava cittadina. Se, con ‘pretesto’ storico, è solo la messinscena di un film d’azione, non si distingue da decine di altri, soprattutto nel momento in cui scimmiotta il cinema americano, con tanto di epitaffio (“Ci sarà, da ora in poi, un prima e un dopo 13 novembre”) che sa più di assicurazione per un filone cinematografico da 11 settembre che di sentito rammarico. Non è né una cronaca degli attentati (si racconta il “dopo”) né un’afflizione per una ferita aperta nel paese (tranne che in brevi interviste in ospedale, non si dà voce alle persone colpite). I personaggi sono sprovvisti di profili psicologici, mere pedine di un congegno turbinoso eccitante, con pregevole lavoro di montaggio in cui, sin dalle prime battute, si corre, si raccolgono informazioni, si arranca, rincorre, sbaglia, aggiusta. Come cinema hollywoodiano/globalizzato insegna, sono banditi i benché minimi accenni ai perché degli attentati: ci sono i giusti contro i fanatici religiosi senz’anima. Qual è il punto di vista di Jimenez? Non c’è l’affabulazione che, partendo dallo strazio della morte, arriva alla catarsi della cattura; non c’è uno stile di messinscena che mostri prima di tutto se stesso (alla Paul Greengrass); non è inserito, nella cronaca piana, un elemento dissonante che diventi il fulcro (come l’ossessione della protagonista di Zero Dark Thirty); non si esce dai binari per adottare una differente soggettiva (poteva essere quella della testimone Samia) o una differente prospettiva (quella, ad esempio, di L'Innamorato, l'Arabo e la Passeggiatrice di Alain Guiraudie). Assenze dissimulate da una cullante andatura al galoppo.
