
TRAMA
1791: Henry torna dall’America per la moglie, da cui vuole divorziare per poter sposare la figlia di un milionario. È, prima, in balia dei rivoluzionari, poi dei monarchici cui la moglie s’è affiliata.
RECENSIONI
La formula del film, per quanto buffonesca e su misura per il tipo scavezzacollo e simpatico di Jean-Paul Belmondo, con cui Jean-Paul Rappaneau aveva già collaborato in veste di sceneggiatore per Philippe De Broca, funziona ed è cara la regista: il kolossal in costume con vicende storiche di sottofondo (qui la Rivoluzione Francese) al servizio di avventure rocambolesche, dal ritmo incalzante, con l’eroe romantico contro tutti, mosso dall’amore per una donzella. Sorprendono la sagacia e il graffiante sarcasmo con cui l’autore (anche soggettista e co-sceneggiatore con Claude Sautet, Maurice Clavel e Walter Benelli) serve l’umorismo: fra rivoluzionari e monarchici fanatici, il personaggio di Belmondo non è mosso da ideali o ragion di stato, ma da puro egoismo prima (la meta è il divorzio) e da amour-fou poi. Politicanti, commercianti e militari, presi a combattersi l’un con l’altro, sono osservati dall’esterno con stupore, ridicolizzati, mentre si mette in scena una pochade di amanti mogli e mariti che si rincorrono, sottolineando come, in fondo, l’essere umano si accenda più con la passione carnale/sentimentale che con le bandiere e le idee. Feroci quadretti da citare: i tribunali sommari dei rivoluzionari, il primo cittadino invasato, il ballo degli aristocratici fra le galline, la coda per i divorzi. Vicenda ben architettata, ‘classica’ e licenziosa, con spirito paradossale azzeccato e gusto elegante nella forma.
