Drammatico, Recensione

BRONX (1993)

TRAMA

Calogero ricorda quando, nel Bronx del 1960, era affascinato dalla figura del malavitoso Sonny. Assistette anche a un omicidio ma non ne parlò. Suo padre, di sani principi, lottava per allontanarlo da quelle brutte compagnie.

RECENSIONI

Fatte le prove generali nel precedente Voglia di Ricominciare di Michael Caton-Jones (anni cinquanta, romanzo di formazione, punto di vista infantile) Robert De Niro esordisce alla regia a cinquant’anni per la sua neonata casa di produzione "Tribeca", adattando il dramma autobiografico di Chazz Palminteri che, a teatro, interpretava tutti i ruoli: un tour de force non difficile da immaginare vista la bravura che l'attore dimostra nei panni di Sonny. Fra Little Italy (ricostruita nel Queens e a Brooklyn), gangster, figure epiche (perché viste dagli occhi di un bambino) la mente corre, ovviamente, al cinema di Martin Scorsese con cui De Niro è cresciuto. La sua messinscena è molto più sobria, non indulge in sequenze cruente, non è mai portata alla magniloquenza, lascia tutto sottotono, all'insegna della semplicità. Persino durante un pestaggio, il regista infila canzoni allegre della Motown e accelerazioni da comica muta. Tutto ciò penalizza il pathos e il climax: che sia poi la voce fuori campo, e non le immagini, a dettagliare lo stato d'animo dei "bikers" (da spavaldo a impaurito), la dice lunga sul poco nerbo del tutto. Una scelta certamente voluta, in linea con il romanzo di formazione a tratti troppo edificante, tanto che, più che un'operazione memoriale (l'attore che interpreta il ragazzino da grande è identico al De Niro di Mean Streets) pare uno schema per elencare pedissequamente i dieci comandamenti d'educazione alla vita (non frequentare le cattive compagnie; non sprecare il tuo talento; segui il cuore; fatti amare piuttosto che temere; non essere razzista…), anche se con la buona intuizione di evitare il manicheismo (i retti consigli provengono sia dal “buono” De Niro sia dal “cattivo” Palminteri). Fra attori non professionisti, sprazzi comici (la gag del cesso) e tracce autobiografiche del regista (sono i luoghi della sua infanzia, dedica il film al padre e, come il suo sosia, si è innamorato di un’afroamericana) l’opera procede corretta e senza sussulti, se non in “quell’ultimo drammatico giorno” dove ne capitano di ogni, emblema di un punto di svolta, di una scelta fondamentale.