TRAMA
Il mondo della moda non sarebbe lo stesso senza Derek Zoolander. Guardate la sua inimitabile espressività e capirete il perché.
RECENSIONI
Il mondo della moda, e inevitabilmente quello dello star system, viene esasperato nell’eccesso pop, deriso da una rappresentazione che ribalta il motto “be professionally good-looking” in un dumb movie stracolmo di freaks persi dentro le loro pantomime verbali.
Ben Stiller però è acuto, non precipita la sua migliore opera dentro il banale modello di comicità demenziale ma cerca, con piccoli cortocircuiti e incredule sospensioni, di creare una logica del nonsense che punta a rendere le sue maschere delle credibili parodie.
Il volto di Derek, nevrotica ripetizione dalla stessa mimica facciale, gioca così per sottrazione distinguendosi tra una giungla fashion sempre più affamata nel mostrare i suoi patologici tic.
Zoolander dalla sua rimane se stesso, pur con i suoi tentativi di ambire a chissà quale profondità. E’ figlio quindi di ciò che (non) rifugge, è il volto inespressivo per eccellenza, privo di spessore, la stupidità amorale che annienta la baracconata allestitagli intorno dal regista.
Come consuetudine, il cinema di Ben Stiller giogioneggia con il cinema stesso, mettendo le regole di gioco che saranno presenti anche nei futuri Tropic Thunder e ne I sogni segreti di Walter Mitty.
La noia della moda trova motivo dinteresse nella conspiracy (la riunione iniziale e il lavaggio del cervello di Mugatu è un chiaro riferimento a The Parallax View di Pakula) seguendo la messa in scena tipica del musical; senza tralasciare la cantonata del percorso di formazione (e del dramma annesso) che invece di essere un contraltare della frivola ottusità ne è il maggior cantore (lo spot dentro il pub che interrompe il confronto padre e figlio è una chicca).
Grazie a sequenze ormai di culto come il car-washing di Derek con i suoi coinquilini, Zoolander ha coniato un immaginario di cui molti film successivi sono debitori. Blades of glory e Palle al balzo tanto per citarne qualcuno.