TRAMA
Il regista Kim Jong-rae è a corto di idee e, per scrivere la sceneggiatura di un film intitolato About miracles, chiede allo scenografo Chang-wook di accompagnarlo un paio di giorni a Shinduri, località balneare sulla costa occidentale, dove trarre ispirazione e scrivere tranquillamente. Dapprima titubante, Chang-wook accetta, a condizione di portare con sé Moon-sook, giovane donna che egli dice essere sua fidanzata, ma che in realtà spera di conquistare proprio durante la breve vacanza. Si dà il caso che anche Jong-rae inizi a nutrire propositi di conquista sulla ragazza, che mostra subito di gradire le sue attenzioni piuttosto che quelle di Chang-wook.
RECENSIONI
Commedia sentimentale dall’allure riflessiva, Woman On The Beach, settimo lungometraggio di Hong Sang-soo, regista molto amato in Francia, è il solo film del cineasta coreano che chi scrive ha avuto il piacere di vedere. Hong imbastisce una ronde scanzonata e pensosa al tempo stesso, utilizzando i suoi personaggi come figurine installate su un carillon. L’impressione di giostra narrativa è suggerita, oltre che dalla ripetitività e ricorsività di temi e situazioni, dall’aggraziata meccanicità degli interventi musicali, immancabili commenti sonori che punteggiano regolarmente il dipanarsi delle vicende. Fulcro naturale della ronde ovviamente è l’amore, declinato nella forma epiteliale dell’avventura: ogni occasione è buona per vivacizzare i rapporti tra uomo e donna e trasformarli in schermaglia sentimentale, in piccolo motivo di attrazione o ripulsa. È un universo all’insegna del capriccio quello sbozzato da Woman On The Beach: Chang-wook desidera Moon-sook, che però sembra preferirgli Jong-rae; anche il regista è attratto da Moon-sook, ma, una volta conquistata, sembra tornare sui suoi passi; al che lei si mette di nuovo a flirtare con Chang-wook. Le cose si
complicano ulteriormente quando Jong-rae intervista una donna che gli ricorda Moon-sook e naturalmente finisce con l’andarci a letto, venendo per di più scoperto dalla rediviva Moon-sook. Un bel marasma insomma.
Ci si lascia, ci si riprende, ci si rilascia e così via: siamo in piena atmosfera rohmeriana, resa irrequieta però da screziature altmaniane serpeggianti in sarcastiche carrellate ottiche. Non si sfiora quasi mai il grottesco (fatta eccezione per l’episodio della “vendetta motociclistica” del cameriere sulla spiaggia), in compenso la pellicola s’insacca talvolta nelle reti della noia, dilungandosi eccessivamente in situazioni artificiose (si veda la ripicca dello scenografo nei confronti del regista, reo di aver maltrattato immotivatamente il cameriere) ed episodi tra il forzato e il pedestre (su tutti lo strappo al muscolo “inutilizzato” del polpaccio, evento odorante lontano un miglio di espediente propedeutico alla conclusione). Ciononostante la tenuta complessiva non è in pericolo, soprattutto grazie a una scrittura piuttosto intelligente e arguta, particolarmente abile nello spostare di volta in volta il baricentro del sarcasmo: se in una ipotetica scala di meschinità lo scenografo e il regista fanno l’en plein, rivelandosi autentici concentrati di maschilismo con venature scioviniste, anche Moon-sook e Soon-hee (sua presunta sosia) non scherzano, non andando oltre la soglia della compassione. Certo, è quasi incredibile la reazione dei due uomini di fronte al minimo sindacale di libertà sessuale in terra straniera rivendicato da Moon-sook, ma è altrettanto sconcertante la sua disperazione di fronte all’idea che qualcuno possa esserle letteralmente passato sopra, scavalcandola, segno che il senso convenzionale dell’umiliazione radicato nella cultura coreana la permea irrimediabilmente e inconsapevolmente. In questo gioco di sottile corrosività risiede il maggior punto di forza di una pellicola che di un carillon ha pregi e difetti: gradevolezza e ripetitività. Pregevoli le musiche à la Isaishi di Jeong Yong-jin.
