TRAMA
L’ex bambino prodigio Frank e la giovane Casey uniscono le forze per salvare l’umanità che ha i giorni contati ma ancora non lo sa. Per farlo dovranno andare in una nuova dimensione chiamata Tomorrowland, dove tutto ebbe inizio.
RECENSIONI
Oltre a essere un giocattolone un po' ingombrante, l'ultimo film Disney è un dichiarato omaggio al celeberrimo Walt e al suo mito. Il titolo, identico all'omonima sezione di Disneyland dedicata al futuro, evoca l'EPCOT, il 'Prototipo sperimentale di comunità del futuro', una sorta di città ideale e utopica, progettata con grande dispendio di mezzi ed energie da Walt Disney nei primi anni '60 e poi accantonata con la sua morte nel 1966. Al di là dei rimandi semantici e della nostalgia che pervade l'atmosfera del film (siamo più dalle parti di F.B.I. Operazione gatto che dei recenti action a base di supereroi), la ricetta Disney, che vuole lacrime & sorrisi equamente distribuiti, trova il suo compromesso attraverso una sceneggiatura improntata all'ottimismo e alla riscoperta del senso di meraviglia. Un punto di arrivo a cui i protagonisti giungeranno non senza lotte e incomprensioni, e che rivela nella positività trasmessa una esplicita dichiarazione di intenti.
Lo scopo sembra infatti quello di rincuorare e stimolare le giovanissime generazioni a cui il film pare principalmente destinato: non cedete allo sconforto ma rimboccatevi le maniche e agite! Se sorridete il mondo vi sorriderà! Brad Bird in regia non è un mero esecutore al servizio del blockbuster e il suo sguardo ha più di un’affinità con la sua opera di esordio nel lungometraggio di animazione, Il gigante di ferro: la diffidenza nei confronti degli adulti, la necessità di preservare propositività ed entusiasmo nei giovanissimi, il sacrificio dell’automa per il bene dell’umanità, la ribellione come inevitabile passaggio nell’impervio percorso di formazione. Tutte variabili poi sfumate nei successivi trionfi in computer grafica (Gli incredibili e Ratatouille) e virate al divertissement con lo spassoso Mission Impossible – Protocollo fantasma. L’intrico in cui rischia di impantanarsi la sceneggiatura risente però anche di Damon Lindelof, una delle menti dietro a Lost, e del suo anteporre gli effetti alle cause.
Se per due terzi il film regge senza troppi cedimenti, pur tra assurdità a profusione, è nella parte finale che gli sviluppi si arenano tra eccesso di verbosità, troppi colpi di scena e azione roboante. Una triade che rischia di pesare come un macigno. Considerando che il target primario sono bambini e relative famiglie, semplicità e leggerezza nello sviscerare la complessità avrebbero di sicuro facilitato la fruibilità. Inattaccabile comunque la regia di Bird, in particolare nella gestione degli effetti speciali, quasi sempre presenti eppure mai invasivi e di una fluidità sorprendente. Tra gli interpreti, i piccoli Pierce Gagnon e Raffey Cassidy colpiscono più di George Clooney (un po’ altrove e particolarmente sgualcito) e Britt Robertson (grintosa e stupefatta come richiesto, ma semi-clone di Jennifer Lawrence). Tra corse a perdifiato, affetti (anch’essi speciali), viaggi nel tempo e nello spazio, baracconate divertenti (la Torre Eiffel che diventa rampa di lancio per un'antica astronave), un solido intrattenimento con morale è garantito. Un maggiore equilibrio narrativo avrebbe però giovato al risultato.
Il racconto è meraviglioso sia nello spirito che lo anima e che si aggancia al nostro presente, trasmettendo alle nuove generazioni un messaggio per un futuro migliore (mosso sinceramente, non retorico), sia nelle coordinate fantastiche che rispondono in gran parte all’immaginario del suo autore, innamorato delle forme anni cinquanta/sessanta (ma c’è anche il tocco della Disney che cita i suoi “eventi” nei parchi a tema e la sua installazione nella fiera mondiale di New York del 1964). Mentre Bard Bird si sbizzarrisce nell’immaginare un mondo perfetto che ha le fattezze retrofuturibili de I Pronipoti (in realtà ispirato alla Città delle Arti e delle Scienze di Valencia), e canta l’inno dei sognatori e dei caparbi contro odio, guerre e cataclismi, la sceneggiatura che ha scritto con Damon Lindelof è molto abile nel non scoprire subito le carte e nel coltivare il mistero (come ci si aspetterebbe dal creatore di Lost). L’occhio ha la sua parte per sconquassi reali nel nostro tempo ed invenzioni gustose in quell’altro, la mente si diletta nel rebus della drammaturgia, il cuore del fanciullino si gonfia per l’afflato con cui si dona una speranza all’umanità (con qualche patetismo di troppo verso il finale). Sottovalutato da critica e pubblico, tanto che non è rientrato nei (notevoli) costi.