Recensione, Spionaggio

TERMINAL VELOCITY

NazioneU.S.A.
Anno Produzione1994
Durata115’
Sceneggiatura

TRAMA

La sua allieva di paracadutismo si schianta al suolo. Indaga e scopre che è ancora viva, ed è un’agente del KGB ricercata dalla mafia russa.

RECENSIONI

Come nel precedente KGB–ultimo atto di Sarafian, il protagonista, ignaro, è coinvolto da una ragazza in un intrigo in cui dovrà affrontare la malavita: gli Stati Uniti dei primi anni novanta, in piena “distensione”, erano tutti baci-e-abbracci con gli ex-nemici della Guerra Fredda, anche ipocritamente. Quando, nel finale, si fa leva, con pomposa retorica, sul senso di giustizia individuale ed i valori universali, sono compresi nel progetto anche i “fratelli” (ravveduti), ridotti alla fame. Politica a parte, è un thriller d’inseguimento scritto e prodotto da David-Il Fuggitivo-Twohy: adrenalina, tensione, umorismo e spettacolarità sono garantiti, con il fulcro tematico del paracadutismo e relative sequenze aeree. Da citare lo slalom iniziale fra i grattacieli, con Charlie Sheen che entra in scena con deretano e scritta “Kiss this”: tutto il suo ruolo si svolgerà sulle due coordinate, maldestre, del macho e del buffone, tenendo conto della mimica facciale dell’attore e giocando sul ribelle, finto duro che soccombe di fronte al vero sesso forte, quello femminile (Nastassja Kinski: dolce, bella, sprecata). Ancor più d’effetto e divertenti sono le sequenze del viaggio, con l’epidermide “frullata” sul prototipo a 250 miglia all’ora e le riprese (con il supporto di adeguati effetti speciali) dell’auto in caduta libera. Aggiungendo il ritmo all’insegna della velocità di moda (Speed è dello stesso anno), sono esauriti gli ingredienti validi del film, occasione sprecata per il mediocre Deran Sarafian di alzare il tiro grazie al budget e alla disponibilità di uno sceneggiatore di grido: la sua messinscena si riconferma dotata tecnicamente e disastrosa a livello espositivo. Imperdonabile, fra le altre cose, la totale inverosimiglianza di un protagonista che si presta ad azioni di spionaggio ignaro del fine e, almeno intuitivamente, colmo di sfiducia verso la donzella che lo spinge a compierle: d’altronde, è altrettanto improbabile che una professionista insista a volere accanto a sé un uomo qualunque. Bastava poco, un dettaglio, una finezza, per rendere tutto più plausibile. Infausta anche la scelta delle continue battute dementi lasciate in bocca a Sheen: si poteva far lavorare solo l’egregio spy-thriller d’azione violenta con commedia sentimentale e donna fatale. La canzone dei titoli di coda, “This cowboy song”, è firmata da Sting.