Azione, Recensione, Spionaggio

SKYFALL – 007

TRAMA

Dopo il fallimento di un’operazione a Istanbul, James Bond viene ritenuto morto. Succede, quando vieni ferito da un colpo di fucile e cadi in un fiume da un treno in corsa dopo un volo di svariate dozzine di metri. Ma stiamo parlando di Bond, James Bond.

RECENSIONI

Casino Royale aveva credibilmente riavviato la saga, liberandola dagli aspetti più stilizzati e obsoleti e introducendo dosi massicce di maturità. Quantum of Solace proseguiva lungo le stesse coordinate, mostrando già un barlume di corda. Perché una volta (ri)metabolizzati i cattivi più credibili, le Bond Girl emancipate, l’Hi-Tech sempre meno (ingenuamente) Hi- e l’umanizzazione esistenziale dell’Agente 007, cosa rimaneva? Un prodotto pericolosamente simile ad altri action-thriller hollywoodiani, che rischiava di pagare cara la propria modernizzazione. Già all’epoca (si fa per dire) mi chiedevo, a fine recensione, se l’aggiornamento di James Bond non potesse essere letto come “semplice omologazione di un prodotto realmente obsoleto che non trova altri sbocchi che quello di somigliare ad altri prodotti, per l’appunto, omologhi”. Skyfall, in un certo senso, mi risponde. E mi risponde che quel pericolo era reale e che per scongiurarlo si è scelta la strada della buona vecchia autoreferenzialità. L’invecchiamento della serie viene così tematizzato nelle trame della sceneggiatura, dove si parla esplicitamente di un Agente 007 ormai incapace di superare i test di ammissione all’MI6, una M costretta al prepensionamento e un nuovo Q in versione nerd brufoloso che snobba i vecchi gadget fossili. Ma tutto è esplicitato anche in maniera modulare, nelle singole sequenze, una per tutte quella iniziale: solita, ed efficace, cavalcata bondiana tutta azione e parossismi, che però si conclude col fallimento della missione e la “morte” del Nostro. Se non è un sintagma metaforico questo, allora io non lo so. Poi Bond risorge e il film continua a celebrare il proprio mito in chiave crepuscolare, al grido di “007 è morto, viva 007”. Con profusione di autocitazioni (in una stessa sequenza vengono nominati Solo per i tuoi occhi* e Bersaglio mobile) e ulteriori chiarimenti dello stesso concetto già illustrato nel prologo (viene rispolverata la mitica Aston Martin DB5 targata BTM 216A con la quale si fanno fuori un bel po’ di cattivi, ma che viene poi distrutta di fronte alla residenza natale di James Bond stesso, anch’essa destinata alle fiamme). Per chiudere con la dipartita di M/Judi Dench, personaggio sul quale il film è di fatto incentrato, e che funge da simbolo ultimo, perfettamente a cavallo tra il mondo diegetico (quello che M rappresenta per la saga) ed extradiegetico [una Dench 78enne, effettivamente troppo (in)vecchia(ta) per continuare a sostenere il ruolo con credibilità].

*In realtà il rimando è più sottile di quello che sembra a prima vista: la frase “solo per i suoi occhi” è riferita a M ma Solo per i tuoi occhi è l’unico film della saga nel quale il personaggio di M non compare. Ci si può/deve chiedere se l’operazione Skyfall, così impostata, funzioni. In effetti, è un continuo rimando alle origini con l’apparente intento di fare una definitiva tabula rasa e proiettarsi, una volta per tutte, nel futuro. Ma restano, nondimeno, rimasugli dei “vecchi” film difficili da contestualizzare (le bellone che cadono tra le braccia di Bond, il villain quasi soprannaturale, lo stesso Agente 007 ontologicamente invulnerabile e invincibile), che continuano a cozzare con l’efficacia di altri passaggi nei quali invece la metamorfosi postembrionale della “nuova saga” sembra perfezionata, al netto di tutta la metatestualità di cui Skyfall è comunque imbevuto. Forse ancora non ci siamo del tutto, forse quello che si cerca è una chimera, un tendere a, e si andrà ancora avanti di mini-reboot in mini-reboot, affidandosi a registi (Forster, Mendes) “bravi” ma dalla personalità direttiva indecifrabile, condannati alla metà del guado, come l’operazione che sono chiamati a orchestrare. Certo c’è un nuovo M, un nuovo Q e forse anche un nuovo Bond, James Bond. Ma l’impressione è che l’inerzia classico/obsoleto/bondiana continuerà a contaminare la saga in maniera poco controllabile, divincolandosi e liberandosi dall’abbraccio di qualunque meta-tentativo abiurante. Ma ci sta, e forse va bene così.

Capitolo epocale della saga di Bond, non solo per qualità in sé (senz’altro il migliore dell’era Daniel Craig) ma anche perché scava nel passato di 007 e, in un impianto tragico che pare rifarsi ad altri “supereroi” stile Il Cavaliere Oscuro (ma c’è più ironia che in Quantum of Solace), riflette anche sul ruolo degli agenti segreti, pedine (o cavie) nelle mani di un ordine superiore che li sfrutta senza pietà (la grande madre degli orfani addestrati: M), e sul cambiamento del controspionaggio in un’epoca in cui non ci sono più nazioni nemiche ma individui pericolosi che, con l’ausilio delle nuove tecnologie, possono mettere in scacco il Sistema. Davvero (anzi, insolitamente) ben scritto dagli sceneggiatori e fondato su di un racconto adulto e (auto)riflessivo, ma non sarebbe così riuscito senza la regia di Sam Mendes che, più del suo predecessore Marc Forster (che, ugualmente, tentava di puntare sul pathos e non solo sull’azione), rende coinvolgente il materiale umano con turbe psicologiche ed è più attento alle implicazioni politiche e di costume. Nella seconda parte domina una tragedia greca di grande impatto, con tutte le sue magnifiche implicazioni: M sotto indagine del Ministro della Difesa in quanto “antiquata” nel nuovo ordine mondiale (lo stesso villain di turno, uno dei migliori della saga pennellato da Javier Bardem, la addita come sanguinaria); 007 che rischia il pre-pensionamento per età e metodi mentre il plot è teso a dimostrare il contrario, in un’elegia del vintage che riesuma anche la mitica Aston Martin. L’azione, comunque, non può mancare, ed il teaser iniziale è strepitoso, rigorosamente “live action”: una lunga rincorsa del nemico ad Istanbul, prima in automobile poi in moto, con acrobazie incredibili sui tetti del gran bazar, infine sulla sommità di un treno, con 007 che vi atterra sfruttando l’impatto della moto con un muretto. Da primato anche la promozione del film che, per l’apertura delle Olimpiadi 2012 a Londra, ha visto James Bond prelevare a palazzo la Regina e scortarla fino allo stadio: un video girato da Danny Boyle.