Drammatico, Recensione

COL CUORE IN MANO

Titolo OriginaleSerce na dloni
NazionePolonia
Anno Produzione2008
Durata96'

TRAMA

Un magnate polacco è debole di cuore e ha bisogno di un trapianto; un giovane impiegato delle sue aziende è stato appena licenziato e si vuole suicidare, candidandosi a donatore ideale.

RECENSIONI

Un cuore e due capanne

Alla base di Serce na dloni, come accade spesso nei film di Zanussi, c'è un disegno molto preciso, una struttura lungamente pensata che, in questo caso, ruota tutta attorno al tema del cuore: dal un lato quello, malato, di un corrotto rappresentate dell'oligarchia polacca che scopre di avere bisogno di un trapianto per sopravvivere, dall'altro quello di un giovane disoccupato che decide di suicidarsi, candidandosi quindi come il donatore ideale. La dimensione simbolica di questo doppio percorso di recupero/perdita del cuore, data l'ampiezza di connotazioni semantiche che la parola "cuore" possiede per millenaria tradizione, risulta quasi esplicita: nascosti sotto il velo della commedia grottesca ci sono sempre gli stessi interrogativi che agitano l'opera di Zanussi: la responsabilità e il confronto tra il mondo materiale e gli imperativi morali e religiosi. I due protagonisti sono la personificazione degli opposti: la mancanza di cuore, senza il quale la vita non si può considerare tale, e il surplus di cuore, l'eccesso di bontà che non riesce a "scaricarsi" nel mondo. Quello che li lega, e che mette in moto il meccanismo narrativo, è il sacrificio. I riferimenti cristologici sono evidenti: il magnate polacco è, allora, l'Uomo, corrotto, immorale, sadico, chiuso in un orizzonte esclusivamente mondano, quasi demoniaco - come sottolinea la fotografia: ricca di colori accesi, con prevalenza di rossi, nelle scene del magnate; più spenta, oscillante tra il blu e il bianco in quelle del ragazzo - che il giovane disoccupato, novello Cristo dal volto angelico di Bohan Stupka (ottimo, giustamente premiato), salva tramite il suo sacrificio (anche solo potenziale), realizzandosi a sua volta. Il tentativo apprezzabile di dare a temi così alti una veste grottesca - c'è forse un fondo autoironico? - si scontra però con la forte rigidità dell'impianto che riduce tutto a schema: se il Male è assoluto, fine a sé stesso - si pensi alla scena in cui il magnate progetta di lasciare tutto il suo patrimonio in eredità a un'associazione di nichilisti, sperando di contribuire così all'estinzione del genere umano - e mai reso problematico, risultano stonati i compiacimenti ironici nei tanti piccoli "demoni"; inoltre, rispetto alla solida impalcatura morale, il finale è incoerente - l'autorealizzarsi del Cristo mediante il sacrificio equivale qui alla perfetta integrazione nella società dei commerci: la "trasfigurazione" del Nostro si limita a un guardaroba nuovo di vestiti all'ultima moda e un jet privato con cui scorrazzare per l'Europa - e rappresenta, piuttosto, una brusca virata verso il fiabesco alla Pretty woman. Zanussi ha paura della via che intraprende, quella della commedia nera, come se non volesse, andando fino in fondo, mettere in discussione il suo sistema etico-religioso; si limita dunque a trattenere di quel genere l'aria, il tono, che, però, in queste condizioni, non può non risultare insincero.