
TRAMA
John Kramer/Jigsaw è morto, Mark Hoffman/Jigsaw no.
RECENSIONI
Melton e Dunstan, dopo la sceneggiatura di Saw IV, devono essersi accorti di averla fatta fuori dal vasino. Il gioco di incastri retro-pro-attivi che ingarbugliavano (e imbrigliavano) il quarto capitolo, infatti, in Saw V lascia il posto a una narrazione più lineare e meno esosa nei confronti del povero spettatore. Non che manchino i flashback, né le revisioni col senno di poi, o i tasselli tappa-ellissi-pregresse, ma tutto è più chiaro e codificabile. Diciamo che occorre aver visto i precedenti capitoli senza essersi appisolati ma non importa averli ri-visti (taccuino degli appunti alla mano) e poi ripassati. E’ cosa buona e giusta. Col quinto capitolo la saga di Saw sembra aver trovato la sua strada, con un decis(iv)o passaggio di testimone enigmistico John Kramer-Mark Hoffman, e un modo di intendere la serializzazione che fa simpatia, con il pensiero che torna al trio della coazione a ripetere Jason/Freddy/Michael, e uno schema così cristallizzato da rendere possibile qualche sapido giochetto sulle aspettative spettatoriali; l’incipit di Saw V è in tal senso programmatico, con la “solita” trappola di autoparodica complessità (per l’occasione spruzzata di Poe), che però ha l’anomalia di non concedere reali chance di sopravvivenza all’ignara vittima (e all’ignaro spettatore). Segue l’usuale, ingegnosa atrocity exhibition, qui architettata sulla falsariga del II capitolo (il gruppo, la casa, le trappole) che ora più che mai palesa la sua natura museale, sorta di galleria/catalogo da scorrere ad uso, consumo e diletto del pubblico pagante: la “trasparenza” di alcuni congegni (il cubo che inscatola la testa di Strahm) non ha nessuna giustificazione narrativo/drammaturgica se non quella di saziare l’occhio dello spettatore e, dunque, di farsi guardare (in realtà volevamo scrivere: soddisfare la pulsione scopica spettatoriale ma sul più bello c’è venuto un rigurgito di pudicizia). Bousman lascia la direzione al suo scenografo (sic) e fa bene. Registicamente aveva anche qualcosina da dire, ma l’aveva già detta e ribadita, mentre David Hackl porta un po’ di sobrietà: è meno cinetico e contundente del suo predecessore (dunque “adatto”, nell’ottica chiarificatrice che ci sembra sottendere il film) né prova a fare qualcosa che lo connoti in qualche modo, ma non arretra troppo di fronte al raccapriccio e mostra un onestissimo senso del ritmo. Per come si stava mettendo la saga, Saw V suona come un re-start coi fiotti.
