Horror

SCARY STORIES TO TELL IN THE DARK

TRAMA

Mill Valley, Pennsylvania, 1968. Si approssima la notte di Halloween. Stella, giovane studentessa solitaria con ambizioni di scrittrice, si lascia convincere dai suoi due soli amici, Auggie e Chuck, ad andare a fare pazzie durante la notte. Come prima cosa tirano un brutto scherzo al bulletto Tommy, che se lo merita, ma reagisce con vendicativa determinazione. In precipitosa fuga, i tre vengono salvati da Ramon, di passaggio in città. Fatta amicizia, Stella propone a Ramon e agli altri di andare nella vecchia casa infestata della famiglia Bellows, dove una volta viveva la leggendaria Sarah, una ragazza che, tenuta segregata dai familiari nello scantinato per motivi misteriosi, raccontava storie orrorifiche attraverso le pareti ai bambini che venivano ad ascoltarle e che poi, si dice, facevano una brutta fine. Stella trova il libro dei racconti di Sarah e le cose volgono subito al peggio.

RECENSIONI

Quanti danni ha fatto e sta facendo Stranger Things, con la sua riproposizione posticcia dell'immaginario anni '80? Se guardiamo al capitolo uno dell'ultimo IT o al trailer del venturo Ghostbusters: Legacy (che in originale è Afterlife, ci sfugge il motivo di questa modifica) la risposta è tanti, tantissimi. Ma mentiremmo se dicessimo che questa nuova tendenza o moda porti sempre e comunque ad un risultato negativo. Il problema, in generale, è la mancanza di personalità: come si può pretendere che un prodotto che emula pedissequamente un modello che a sua volta ripesca una rappresentazione fortemente connotata (fatta di ragazzini in bicicletta, ambientazioni d'epoca e misteri da risolvere) possa possedere un'anima? Il cinema young horror sta diventando una massa talmente informe e intercambiabile che finiamo per trovare gli stessi attori nei medesimi ruoli in diversi film, come variazioni su un tema immutabile (ogni riferimento a Finn Wolfhard non è puramente casuale). Per uscire dall'impasse occorre, ad esempio, che alle spalle di un progetto ci sia un “autore” con una poetica consolidata, desideroso di lasciare un'impronta ben riconoscibile. Scary Stories to Tell in the Dark è prodotto da Guillermo del Toro, e si vede: come La spina del diavolo, Il labirinto del fauno e La forma dell'acqua – The Shape of Water possiede un fortissimo portato metaforico che, tuttavia, può anche essere ignorato (perdendosi inevitabilmente qualcosa, ma non inficiando la visione). Quella che era Guerra Civile Spagnola o Guerra Fredda diventa qui Guerra del Vietnam, con annessa elezione di Richard Nixon. Il contesto fa la storia, e genera mostri; gli spaventosi Spaventapasseri, Pale Lady e Jangly Man sono proiezioni mentali di un disagio, che rende tangibile l'orrore ed esplicita gli incubi del reale. Per questo Scary Stories to Tell in the Dark funziona, perché sono semplici “storie di paura da raccontare al buio” che rimandano – per chi ha voglia di scendere più in profondità – ad altro, ad un sottotesto che può piacere come anche no (le parentesi dedicate al Vietnam sono qui abbastanza inefficaci e deboli) ma che è comunque presente.

Sempre di matrice deltoriana è anche la modalità di rappresentazione delle “creature”, condivisa in verità con il regista norvegese André Øvredal, che già in passato soprattutto con The Troll Hunter aveva dimostrato di possedere una discreta passione per gli effetti speciali artigianali. I freaks che si palesano durante la visione – e durante la missione dei ragazzi protagonisti – sono quasi totalmente frutto di trucco prostetico e costumi, con un utilizzo ridotto all'osso di computer grafica. L'effetto è duplice, come è sempre stato in del Toro: da un lato la matericità produce un senso di incombenza e minaccia che il digitale non può (e non potrà mai?) ricreare; dall'altro ci si spinge verso una sorta di immedesimazione con il mostro, di macabra fascinazione per l'emarginato e il diverso che è / potrebbe essere un nostro alter ego, come nel film accade fra Stella e il fantasma di nome Sarah segregato nella villa stregata. «Non sei tu a leggere il libro, è il libro a leggere te», come viene ripetuto più volte, ovvero non siamo noi a guardare il film, ma è il film a guardare noi: l'atmosfera inquietante e assieme magica di Scary Stories to Tell in the Dark passa anche attraverso questo tentativo di fusione dicotomica, di connessione attiva con lo spettatore che è la stessa dei romanzi di riferimento scritti in un decennio da Alvin Schwartz, storie desunte dal folklore statunitense e tramandate col passaparola. Come già sottolineato su queste pagine da Luca Baroncini (nel suo Baro-metro di novembre 2019) il vero problema della pellicola potrebbe essere la mancanza di un reale target, visto che i riferimenti sociali e culturali per adulti e al contempo per teenager fanno pensare ad un bizzarro horror “per famiglie”. Ci piace (da inguaribili romantici quali siamo) vederla come un'esortazione a tenere vivo il gusto per il macabro e il ripugnante, per lo spavento e lo stupore genuinamente adolescenziali. Un invito rivolto a chi ragazzo più non è da parte di Guillermo del Toro, che – nel bene e nel male – ha mantenuto quello spirito e quella mentalità facendone uno dei tratti distintivi di una intera carriera.