REVENGE

TRAMA

“Jen, sexy e sfacciata, viene invitata dal suo ricco amante alla tradizionale battuta di caccia che l’uomo organizza con due amici. Isolata nel deserto, la ragazza diventa presto preda del desiderio degli uomini e quello che doveva essere un week end di passione si trasforma in un incubo, in una spietata caccia all’uomo. Per la prima volta un “rape and revenge movie” girato da una regista donna. Ricco di virtuose sequenze pulp, Revenge ricrea il classico gioco del gatto con il topo, mostrando come una donna sappia reagire alla violenza, al più vile degli atti maschili” (dal pressbook).

RECENSIONI

Cosa succederà alla ragazza

Film ipermacho addobbato da rivendicazione femminile, Revenge è il primo lungometraggio cinematografico di Coralie Fargeat, già autrice di cortometraggi ultrapremiati (qui è possibile vedere il suo primo lavoro, intitolato Le télégramme). Cosa succede nel film? Che Jen (Matilda Lutz) una ragazzina lolitesca presentata come supremo oggetto del desiderio, viene violentata da Stan (Vincent Colombe), uno dei due ributtanti amici del suo amante Richard (Kevin Janssens), quando questi si allontana per qualche ora. Riluttante ad accettare la proposta di Richard (partire per il Canada e dimenticarsi della violenza subita), Jen prova a fuggire, ma il suo tentativo di fuga degenera in tragedia (il perfido Richard cerca di ucciderla in un modo che mi guardo bene dal descrivere). Ed è qui che Revenge mostra le sue autentiche credenziali di genere, non un semplice Rape & Revenge (non è fortuito che la sequenza dello stupro sia risolta sbrigativamente e per lo più fuori campo), ma un revenge movie senza prefissi causativi, come precisato dalla stessa regista in un'intervista pubblicata su "FilmTv" (n. 36, 2018): "L'ho pensato come un revenge movie tout court, da non "ridurre" alla questione della violenza sessuale. È una storia di vendetta che si allarga a diventare parabola simbolica di una donna che conquista il potere in molti modi e su diversi piani".

Da questo momento Revenge vira bruscamente in survival che utilizza la vendetta come pura strategia di sopravvivenza: è difatti Jen, ferita, sanguinante e stremata, a essere braccata da Richard, Stan e Dimitri (Guillaume Bouchede), la ragazza difendendosi come può e sa (sempre meglio e sempre più efficacemente, a dire il vero). Non è certo sul versante della plausibilità che va cercato il senso del film (le inverosimiglianze sono tante e tali che solo un minorato psichico potrebbe ignorarle), ma sul versante opposto, ovvero quello della radicalizzazione tematica ed estetica. Ancora Coralie Fargeat: "Su un ulteriore piano, questa pellicola simboleggia il modo degradante in cui le donne vengono rappresentate nei film: troppo spesso viste come un oggetto sessuale, spogliate e umiliate. Il film, inizialmente, gioca proprio con questa rappresentazione enfatizzandola al massimo così da sovvertirla brutalmente. La protagonista, in questo modo, diviene la figura forte del film, un supereroe donna, nonché la forza trainante dell’azione" (dalle note di regia del pressbook). Tutto molto coerente e comprensibile, certo, ma il punto dolente mi pare essere questo: possibile che l'identità femminile venga riconosciuta e affermata pienamente solo se le si appiccicano addosso gli attributi maschili? Possibile che l'identità femminile compiutamente realizzata debba convergere necessariamente nell'irricevibile stereotipo della "donna con le palle" (virgolette di disprezzo per l'espressione), sorta di caricatura maschile in un corpo muliebre?

Il fatto è che anche sotto il profilo stilistico Revenge rivela una natura "enclitica", vale a dire caratterizzata dalla mancanza di un accento proprio e autonomo, col conseguente appoggio a un'estetica precedente. I titoli di riferimento menzionati da Fargeat, che possiede uno sguardo indiscutibilmente cinefilo, sono i seguenti: Shining (la cascata di sangue), Mad Max: Fury Road (la trasfigurazione del deserto in universo immaginario), Kill Bill: Volume 1 (la forza straordinaria e il carattere antinaturalistico della protagonista), Duel (per la componente silenziosa e minimalista della caccia all’uomo) e Rambo (per l'aspetto survival e "giustizia fai da te"). Superfluo ogni commento sulla connotazione geneticamente mascolina di questa cinquina. Ma, restando il più possibile aderenti al film, è impossibile non notare che a definire Jen non è tanto il suo sguardo, quanto quello portato su di lei dalle figure maschili, anche per tramite di questo immaginario ipervirile e solo apparentemente capovolto in appropriazione femminile. Mi astengo scrupolosamente dal dilungarmi sullo stato di salute del cinema francese di genere che questo film sembrerebbe sollecitare, limitandomi a segnalare un titolo ben più significativo e latore di una figura femminile dall'identità di gran lunga più autonoma, insubordinata e sfaccettata: Laissez bronzer les cadavres (2017) di Hélène Cattet e Bruno Forzani (che ovviamente non è stato distribuito in Italia). Di fronte a Madame Luce (Elina Löwensohn), la stupefacente protagonista del film di Cattet e Forzani, Jen si rivela per quello che è, eroina tagliata male.