TRAMA
Gaspard è un giovane musicista e neolaureato in matematica che raggiunge un paesino sulle coste della Bretagna per trascorrere qualche giorno di vacanza in un appartamento prestatogli da un amico. In attesa che lo raggiunga la sua fidanzata Léna, fa amicizia con Margot, un’etnologa che fa la cameriera durante l’estate, e intreccia con lei un’amicizia che potrebbe diventare amore.
RECENSIONI
Da soli si può andare in giro, in due si va sempre da qualche parte.
La donna che visse due volte
"Eric Rohmer ha rifatto sempre lo stesso film". C'è del vero se pensiamo in termini di multipli, di continue variazioni significative - nel dettaglio può esserci non solo il diavolo ma anche il senso - dentro una griglia costante. Per esempio tutti i personaggi rohmeriani sono eroi della cattiva coscienza. Logorroici, ci inondano di parole - su loro stessi, l'amore, dilemmi morali vari - e vengono costantemente sbugiardati dalle immagini. Sono (spesso inconsapevolmente) inaffidabili. Pochi registi hanno posto tanto accento sulla prossemica, sugli sguardi che rivelano sempre qualcosa d'altro mentre i parlanti si agitano come marionette alla periferia, popolata di lapsus e transfert, delle loro attrazioni e pulsioni. Rohmer sardonicamente consiglia di fidarci solo dei nostri occhi e, amante di massime e moralisti seicenteschi nonché giansenista ad honorem, continua a ribadire con Pascal che "il cuore ha ragioni che la ragione non comprende". Intanto si diverte ad osservare, con piglio da entomologo, le contorsioni dei suoi personaggi.
Gaspard (Melvil Poupaud) è un giovane bello e alla deriva finito, per una serie di circostanze, a passare le vacanze sulla spiaggia bretone di Dinard, a fianco di Saint-Malo, l'estate dopo la laurea. Ci arriva solo. Si tratta quindi di una vacanza all'ennesima potenza e in tutti i sensi etimologici. La vacanza è il tempo emotivo preferito dal regista (cfr. La collezionista, Pauline à la plage, Il ginocchio di Claire eccetera... ma in fondo nessuno lavora davvero nei film di Rohmer) perché genera un sottovuoto esistenziale nel quale un carattere viene lasciato libero di reagire e può quindi essere studiato. Gaspard ci appare un cercatore, un musiliano "uomo senza qualità", come tantissimi protagonisti rohmeriani cominciando dal Trintignant de La mia notte con Maude (ma non si tratta di un'esclusiva maschile, per esempio c'è anche Marie Riviere ne Il raggio verde). In realtà - lo rivela Rohmer stesso in un'intervista - è piuttosto "L'uomo difficile" di Hoffmansthal. Si sente senza qualità, non esistente. Ha bisogno che la sua identità, la sua esistenza fisica siano costantemente confermate da un Grande Altro. Quando parla, lo fa per prendere possesso, per definirsi e darsi forma ma è sempre uno spettacolo per altri. Nella sua stanza resta in silenzio e suona. La sua dimensione naturale, a riposo, è la passività.
Gaspard sbarca solo e come tutti i solitari cammina senza meta, flaneureggia, esplora il territorio senza penetrarvi. Le interazioni che seguiranno sono mediate e circoscritte dalle ragazze che incontra, che gli aprono il mondo e contestualmente attivano il marchingegno dormiente che è il suo corpo. "Io non amo provocare il caso. Piuttosto amo che sia il caso a provocare me". Gaspard si lascia agire. All'interno del perenne binomio rohmeriano caso - scelta, egli paradossalmente compie una scelta assoluta per il caso. Siccome è pur sempre un personaggio rohmeriano e quindi kantiano, decide di non scegliere, fa della propria incosistenza zen un saldissimo imperativo categorico sul quale rimugina ossessivamente. Dei suoi simili ha anche altri tratti identitari: l'indecisione, la curiosità, l'infantilismo, il narcisismo e l'idealismo. Non sceglie anche perché ogni scelta comporta la rinuncia a tutte le possibilità tranne una. Si aggrappa alle coincidenze come a un deus ex machina deresponsabilizzante quando nel finale è costretto, messo all'angolo dagli eventi, a decidere e agire in prima persona. Ironicamente quell'unica azione è una fuga. In due - o più man mano che il film si affolla - si va sicuramente da qualche parte ma può anche essere un vicolo cieco. Oppure avere una direzione può essere esattamente il problema.
Simbolicamente Gaspard non ha l'auto e a guidare sono sempre le ragazze. È irrisolto e egoriferito ma ciò non toglie che si tratti di una preda, indifesa e tenera, particolarmente nelle maldestre marce indietro. Fa gli esperimenti con le ragazze non perché cinico, piuttosto come un chimico prova i reagenti. Come si posiziona nell'ecosistema della seduzione allestito da Rohmrer, come sempre, a modo di diorama? Un cacciatore-raccoglitore o un piccolo mammifero erbivoro? Un seduttore involontario o un oggetto di desideri altrui? Margot lo punta e comincia una sessione di gatto e topo che lascerà entrambi insoddisfatti, Selene lo ricatta e Lena lo tiene in pugno. Da tutte Gaspard si lascia plasmare camaleontico, cambia umore, postura, carattere, personalità a seconda di chi lo accompagna. Poupaud ci fa percepire tutto, con una prova attoriale sottilissima.
Come il lunatico protagonista cambia umore ad ogni chiaro di luna (non a caso è il nome della creperie dove lavora Margot), Racconto d'estate è un film girato seguendo il meteo e la simmetria contribuisce al miracoloso - e rohmeriano peculiare - effetto realtà. Il regista, già settantacinquenne all'epoca, è diventato più giovane turco che agli esordi. Scrive i film due volte: la prima a grandi linee, poi la consistenza arriva dopo aver conosciuto interpreti e luoghi. Racconto d'estate è girato improntu, senza predisporre set, con la troupe più leggera possibile. Film pedonale e verbale, è fatto sulla spiaggia e su strade e sentieri da lunghe carrellate che seguono le discussioni degli attori i quali portano microfoni nascosti (come nei documentari) per non dare nell'occhio e muoversi tra i veri bagnanti affinché le riprese siano una parentesi di struttura dentro un testo libero. Inoltre anticipa, nella breve scena dell'intervista al pescatore, l'ennesima svolta linguistica sperimentale quando Rohmer deciderà di inglobare senza soluzione di continuità l'etnografia nella diegesi, pochi anni più tardi, in un capolavoro trascurato che è L'albero, il sindaco e la mediateca.
È ben collaudata invece la struttura diaristica, la scansione giornaliera segnata da cartelli da cinema muto che non servono solo a organizzare il tempo filmico. Come ne Il raggio verde, il diario del protagonista è un espediente che serve a isolare soltanto i momenti significativi di giornate che altrimenti, per coerenza alla presa diretta, sarebbero dovute essere tempo reale e invece si fanno tempo durata bergsoniano. Ci sono conseguenze ulteriori: l'autore del diario è sempre in scena e la sua conoscenza della storia coincide perfettamente con la nostra; nel triangolo di Bretagna dove si muovono le vicende ci interessa solo lo spazio effettivamente percorso; siamo frustrati e sviluppiamo una curiosità morbosa, voyeuristica per tutto ciò che sta fuori montaggio, desideriamo un extended version con i momenti morti o non mostrabili, con i retroscena, un'esperienza del tempo totale e più estrema, non censurata, da reality show.
Per quanto radicali siano i temi esistenziali sollevati, il cinema di Rohmer resta sempre nel registro della commedia, sul tono seicentesco del gioco galante, del distacco. Non c'è spazio per la tragedia (per l'età adulta) e non a caso Rohmer si congederà con un poema arcadico come Gli amori di Astrea e Celadon. Un ragazzo, tre ragazze è la commedia amara dell'adolescenza, dell'estate, dell'amore. Tutti sono delusi perché non sanno cosa vogliono o amano troppo giocare o non sopportano di dover scegliere e mantenere una direzione che sia univoca. Crescere significa rinunciare, escludere. Meglio fuggire (dalle responsabilità). Rimane un rimpianto: Ouessant, l'isola magica, continuamente evocata e sempre più desiderata, terra promessa a troppi e quindi viaggio destinato fin dall'inizio a non essere. È la Citera del dipinto di Antoine Watteau: la meta di un pellegrinaggio che coincide con il raggiungimento dell'amore. Nessuno ci andrà.