TRAMA
A Salamanca, in Spagna, si tiene il summit fra il presidente degli Stati Uniti, l’Europa e i paesi arabi per un protocollo antiterrorismo. Il presidente viene ucciso, poi scoppia una bomba in piazza. Fra vari punti di vista dell’attentato, l’agente dei servizi segreti Thomas Barnes non la farà passare liscia ai colpevoli.
RECENSIONI
Generalmente non siamo affatto restii a farci sedurre da chi tenta di giocherellare con la forma e l’accoppiata Pete Travis / Barry Levy, entrambi all’esordio cinematografico, sembrava volerci provare. Accettando di relegare le idiozie dell’intreccio nei territori dello pseudo-MacGuffin, infatti, balza all’occhio la volontà di trascinare lo spettatore in un meccanismo filmico non certo nuovo ma, sulla carta, fortemente caratterizzato in chiave metatestuale: frammentazione dei punti di vista, gestione strategica del/dei sapere/i diegetico/i, progressivo disvelamento della realtà affidato alla serializzazione di luoghi enunciativi forti (i flashback), tutta roba capace di mandarci in sollucchero… Sulla carta, si diceva. Perché in realtà, Vantage Point si rivela quasi subito una sorta di banalizzazione di se stesso, a partire dal suo apparente delegare la progressione drammatica a una serie di flashback soggettivi; tali flashback infatti (tutti inaugurati da un simpatico rewind) non sono tecnicamente soggettivi ma più soggettivi-oggettivi, non solo per una gestione dei punti di vista piuttosto ordinaria (la carenza di soggettive pure è “allarmante”) ma anche per un contenuto narrativo che, più che frammentare la verità/realtà in più versioni contraddittorie e/o complementari da ri-costruire e ri-montare, si limita (con rare eccezioni) a seguire una linea tramica sostanzialmente retta alla quale aggiungere, di volta in volta, un segmento nuovo. -(Es.: Dennis Quaid, nel “suo” flashback vede qualcosa di importante nella videoregistrazione di Whitaker ma il controcampo soggettivo su quel qualcosa ci viene negato fino al flashback successivo, e così via)-. Ne risulta un progredire meccanico, poco “analitico” e dunque poco stimolante, che con il dipanarsi della pellicola perde anche quel minimo di coerenza interna che sembrava voler mantenere (l’ultimo “flashback” abbandona qualunque parvenza di soggettività e si rivela un confuso blob di più prospettive che, semplicemente, cerca di chiudere la faccenda alla meno peggio). Il film sembra voler accennare anche ad una tematizzazione della tecnologia audio-ripro-visiva come doppio del dispositivo cinematografico [le telecamere/schermi della GNN (sic), la videocamera HD (1080i) di Whitaker] ma forse abbiamo visto troppo De Palma, ché Travis in realtà non va oltre qualche zoomata, un accenno di split screen multi-monitor e poco altro. Vantage Point resta dunque un thriller solo teoricamente teorico, che nella pratica si lascia comunque guardare almeno fino ai venti minuti finali, nei quali abbandona qualunque velleità per gettarsi nel calderone del thriller qualunque. Soprassediamo sui possibili riferimenti a Rashomon, chiamato pretestuosamente in causa da più parti (che c’entra la gemmazione di ingannevoli soggettività del Maestro giapponese con questa cosetta qui?) e andiamo piuttosto a rivederci Snake Eyes (che con Kurosawa, tra parentesi, c’entra assai di più) per ri-godere di sublime, cristallina vertigine teorica.