Amazon Prime, Drammatico, Recensione

PADRENOSTRO

TRAMA

La vita del piccolo Valerio viene sconvolta quando assiste all’attentato ai danni di suo padre Alfonso  da parte di un commando di terroristi. Da quel momento, la paura e il senso di vulnerabilità segnano drammaticamente i sentimenti di tutta la famiglia.

RECENSIONI

Noce s’ispira a una storia vera (quella di suo padre, magistrato ferito dai terroristi) e, schivando il film storico, la usa per raccontare gli anni di piombo, non come epoca ricostruita in cronaca, piuttosto come dimensione sensoriale: luoghi, sensazioni, rumori, colori, interni sono processati da una psiche infantile, sensibile, fragile e già problematica. L’attentato al genitore per il piccolo Valerio è ferita interiore: ricreato dal pensiero, pezzo per pezzo, il fatto violento, ricomposto come in un puzzle, diviene anche traduzione per immagini di una precisa strategia narrativa fatta di non detti, di un sapere spettatoriale frammentario, tarato su quello del protagonista (ciò che vede, ascolta, comprende), ritratto che dipinge una consapevolezza in fieri. E il film traduce in figura questa prospettiva - parziale, immatura, dubbiosa - sullo spirito del tempo. Come evocata, però, dall’oggi, alla luce di una comprensione oramai acquisita dei fatti, figlia del senno di poi (il livello attuale che incornicia il racconto).

Per restituire questa percezione -  frutto di un ricordo che passa attraverso suoni e immagini del periodo (la musica, i giornali, la radio, la televisione, il décor, gli abiti, le acconciature eccetera)- Noce azzarda molto, giocando sul dipanarsi ambiguo della storia, facendola percorrere da venature visionarie: distaccandosi dal rassicurante, abituale realismo del nostro cinema, la deraglia sul racconto visivo e di messa in scena. Tutto il film reggendosi, temerario, su questo filo enigmatico (l’amico immaginario), sa vibrare fortissimo (Impressioni di settembre: da quanto una canzone di repertorio non veniva usata così efficacemente in un film italiano?): dissipando la star (un generoso Favino) per renderla parte (significativa, certo) di un affresco, interpreta lo sguardo del protagonista (finalmente un bambino vero, non un filosofo in miniatura), attraverso il quale realtà, immaginazione creatrice, visione traumatica si confondono. Soprattutto: mantiene il discorso di fondo (l’eredità ingombrante di una generazione) a un livello puramente simbolico. Testardamente, felicemente.