
TRAMA
Un poeta russo è in Italia per redigere la biografia di un musicista compatriota del settecento. Lo accompagna una donna che lo ama, non ricambiata.
RECENSIONI
La Chiesa, la Maternità, il Femminino (la donna non si cruccia né ha paura, sa solo amare; se non sa di più, senz’altro si chiede di meno), la perdita della Grazia (il protagonista, come un angelo caduto, porta il segno bianco di una piuma sul capo), la Fede e la Follia (la Roma popolata da pazzi), un cane onnipresente, flashback e proiezioni simboliche in bianco e nero: la nostalgia di “Casa” invade il poeta/alter ego (in onore del padre di Tarkovskij, citato) che visita il Belpaese (Emilia, Toscana, Lazio). Un liquido amniotico dove compositi argomenti s’intrecciano come un sistema nervoso: la parte è collegata al tutto, si può parlare di tutto per tornare alla parte. Mosaici che pongono domande su domande, labirinti senza uscita che arricchiscono con le loro interrogazioni esistenziali. Se la riflessione sul ruolo dell’Arte è onnipresente nelle sue opere, stavolta l’ermetismo di Andreij Tarkovskij si punta il dito contro: il poeta (il regista, il suo film) pare smarrito, annoiato, malato (come in realtà era: questo è il suo testamento) e attratto dal suo contrario, un folle ossessionato dalla religiosità che teme la fine del mondo e auspica la riscoperta delle cose semplici, grandi perché irrorate di magia, gesti rituali (l’estenuante ma magnetico percorso finale per i bagni di Santa Caterina, con la candela in mano) e indissolubili legami con gli elementi del fuoco e dell’acqua (quest’ultima, presenza costante del suo cinema: è battesimo, percorso ed eternità). “Non sporcare l’acqua!”, limpida e comprensiva/comprensibile, si dice nel film: Tarkovskij fa tutto il contrario (e lo sa) e resta indecifrabile, sguazza nell’ambiguità allegorica, in una poesia passata al setaccio della filosofia e dell’intellettualismo, sempre più cerebrale seppur all’affannosa ricerca di un’atmosfera sospesa fra dimensioni fanta-pittoriche e lunghi piani sequenza. Percorsi della coscienza fra Pienza e l’abbazia di San Galgano, emozioni in immagini immerse fra la nebbia e le ombre in lunghi carrelli e piani sequenza. Il suo disorientamento è il nostro.
