TRAMA
Madeleine Swann ragazzina assiste all’omicidio della madre da parte di un uomo mascherato, che poi le risparmia la vita salvandola anche dall’ipotermia. Oggi: Madeleine è a Matera con James Bond, che cade in un’imboscata della SPECTRE.
RECENSIONI
(spoiler)
La cosa andava avanti da un po’, diciamo almeno da Casino Royale. Il personaggio di Bond, James Bond, cioè, andava in qualche modo svecchiato, reso contemporaneo vivente, spogliato di quegli orpelli che, una volta privati della loro componente meta- e/o nostalgica virata all’auto-omaggio, rischiavano di suonare semplicemente stantii. Via libera, quindi, a villain più credibili, Bond Girl emancipate, un hi-tech un po’ meno ingenuamente hi e un Agente 007 più umano ed esistenzialista. A onor del vero, però, già in Quantum Of Solace, che riproponeva e perfezionava il nuovo trend inaugurato da Casino Royale, veniva da chiedersi se quella strada fosse davvero percorribile. All’epoca scrivevo: “il rinnovamento della saga potrebbe anche essere malevolmente letto come una sua normalizzazione in senso spy/action/thriller hollywoodiano. E’ possibile, insomma, vedere l’aggiornamento come semplice omologazione di un prodotto realmente obsoleto che non trova altri sbocchi che quello di somigliare altri prodotti, per l’appunto, omologhi?”. Skyfall ci aveva messo una pezza momentanea, tematizzando l’invecchiamento della serie, facendo morire Bond alla fine della prima sequenza e proseguendo con la crepuscolarizzazione del proprio mito, fino all’autodafé: la Aston Martin DB5 targata BTM 216A veniva distrutta, la residenza natale di Bond data alle fiamme e il personaggio di M / Judi Dench moriva, chiudendo simbolicamente un’epoca. Spectre, però, tornava a brancolare nel buio: bondate al grado zero, autocitazioni poco/punto meditate e (de)contestualizzate e, insomma, una preoccupante regressione nella “terra di nessuno nella quale i tentativi modernizzanti sanno di modernariato e le tracce del passato sono chiazze di muffa” (ancora io, chiedo scusa).
Come uscirne? Col botto (fatale). No Time To Die fa probabilmente l’unica scelta possibile, ossia accompagnare la saga classica verso il suicidio assistito e aprire la strada a un’ipotesi di ripartenza da 0(07) al femminile. È abbastanza ovvio che un finale in cui Bond, James Bond, muore, finisca per mangiarsi il film (e oltre) e renda difficile giudicare il film serenamente. Quello di Fukunaga, insomma, non è un film della saga ma il film della saga, quello in cui l’agente 007 ci lascia le penne. Quindi, forse, ha poco senso chiedersi se la Aston Martin che spara dai fanali e lancia le bombette esplosive sia una meta-citazione affettuosa o semplicemente obsoleta o se la Bond-Girl che non è una Bond-Girl e non cade tra le braccia di Bond sia un meta-gioco con le spettatore o un significativo segno dei tempi. Quello che conta, che rimarrà e che impone di (ri)leggere il film comunque in chiave riepilogativa ed epitaffica è il fatto che sarà l’ultima volta che vedremo quella Aston Martin e che Ana de Armas / Paloma sarà l’ultima (pseudo)Bond Girl della storia del cinema. Si potrebbero fare, certo, discorsi un po’ più circostanziati su una regia forse poco coraggiosa ma più che competente, che utilizza con maestria il campo lungo per dare personalità a scene d’azione altrimenti ordinarie e azzecca pure trovate degne di nota; una su tutte: l’agente 007 che risolve una sorta di enigma ambientale quando sul ponte a Matera evita di venire travolto da un’auto nascondendosi dietro un piccolo muretto laterale. Ma sono quisquilie, così come è una quisquilia rimarcare che Rami Malek si conferma attore tutto sommato modesto e che, sicuramente, il suo villain è uno dei meno carismatici di tutta l’epopea bondiana. Quello che conta, adesso, è che James Bond è morto (viva James Bond).