Fantascienza

NIRVANA

TRAMA

2005, megalopoli del Nord: il protagonista di un videogioco prende coscienza di sé e chiede al proprio programmatore di “cancellarlo”.

RECENSIONI

Coraggioso tentativo italiano di entrare nel mercato internazionale con un genere poco "nostrano" e la firma di un autore che, anche nel futuro prossimo delle metropoli multietniche e degradate (alla Blade Runner), continua a parlare di fughe, libertà e viaggi. Salvatores centrifuga molte idee che non sono farina del suo sacco (cita anche Bosch ed Escher), ma ha anche intuizioni che anticipano opere come eXistenZ e The Truman Show, acquistando pieno diritto di cittadinanza nel filone aperto da Strange Days e trionfante in Matrix: la realtà come un videogioco, il virtuale che confonde la percezione, la religione della visione e la visione della religione. Se la dimensione onirica ed il talento per lo schizzo pittoresco dei personaggi non gli hanno mai fatto difetto, incespica nel rincorrere un apologo che non si limita a fare fantascienza sociologica e sotterraneamente allegorica, ma ostenta troppo le proprie facili tematiche sessantottine, con l'India come chimera, gli hackers come nuovi hippies, la presa di coscienza come atto necessario per sovvertire il Sistema (simboleggiato dalla solita multinazionale) e ridistribuire il reddito. Sono tanti i buoni input per la programmazione di questo Nirvana: la reincarnazione, le differenti soggettive, il trip psichedelico (chi "gioca" chi?), il parallelo fra Abatantuono ("nel" gioco) e Lambert ("fuori" del gioco), i problemi d'identità, la teoria del suicido (ma è voluta?) come unica via di fuga. Purtroppo qualche virus deve aver infettato i file (proprio come succede nel racconto), il gioco di Salvatores non appassiona, le riflessioni cadono senza connettersi in un circuito filosofico di senso compiuto e non c'è nessun Abatantuono a prendere coscienza di sé per insinuare il dubbio che sia tutta un'illusione, confondendo i piani spazio/temporali.