Horror, Proibiti

MUTANTS

TRAMA

[Film non uscito nelle sale italiane] Il mondo è sconvolto da un’epidemia, raggiungere la base Noè è l’unica speranza di salvezza. Sonia e Marco si amano, ma lui viene colpito dal virus: la donna osserva il suo uomo trasformarsi gradualmente in un mostro…

RECENSIONI


Dopo il corto anticipatore Morsure, il giovane regista francese David Morlet finge di girare uno zombie movie indorato dal tema del contagio: in realtà è una metafora insanguinata sull’essenza della coppia, per estensione delle relazioni umane. Scritto con Louis-Paul Desanges, il film ha uno sviluppo lineare in tre parti: la prima, un “horror di coppia” in interni, la seconda che declina gli elementi di genere, l’ultima che fonde le due anime e prepara la scena finale. Si parte in fieri ed è subito carneficina: una donna in fuga alternata ai titoli di testa, che si espandono come metastasi, trova la fine maciullata da un’ambulanza in corsa. Basterebbe questo incipit, giocato sulla falsa pista (la donna non è protagonista) e sul rovesciamento (l’ambulanza uccide) per sottolineare l’intelligenza della costruzione; ma sono molti i momenti basati sul “contropiede” allo spettatore, come l’uscita della donna soldato – che arriva troppo presto rispetto alle attese – o il piccolo, geniale colpo di scena che fa scambiare per infetto un ragazzo “solo” autistico (e la dice lunga sul modo di intendere la diversità nel cosiddetto contemporaneo).


La prima parte, dunque. Sonia (Hélène de Fougerolles) osserva Marco (Francis Renaud) in progressivo contagio nella tranche più riuscita in assoluto: avvolto in realismo agghiacciante, con la mdp che certifica epidermicamente la trasformazione, si sviluppa un discorso metaforico e allusivo. Il contagio del partner è la crisi di coppia (il virus della rottura), con lui che inizia a cambiare i connotati (lo sfilacciamento del rapporto) e lei che prova a ravvivarlo (guarire l’uomo), e l’alternanza tra stati di lucidità e alterazione da leggere come il tentativo di ricucire e l’altalena emotiva (avvicinarsi – allontanarsi) che caratterizza la fine delle storie d’amore; in questo senso la trasfusione simboleggia il rapporto sessuale, che si risolve però in un coito interrotto. Il morbo decreta la fine dell’unione e, volendo azzardare, si pone come ipotetica punta del triangolo (lui/lei/il virus) che spacca la coppia. A livello politico, inoltre, suona altrettanto chiara la dissertazione sulla paura del vicino, che cambia e si trasforma in qualcosa di diverso rispetto a ciò che conosciamo: il terrore del prossimo come arma di intimidazione è l’aspetto più sociale (ovvero che riguarda la società), ma resta sostanzialmente in secondo piano. In evidenza sempre l’uomo e la donna, che ci offrono una lunga break-up in una spiazzante atmosfera gore-sentimentale culminante nell’abbraccio di sangue.


Nella seconda parte, effettivamente, si ripiega sui parametri di genere (28 giorni dopo di Boyle è stato molto citato): c’è l’arrivo dei cattivi, la base salvifica da raggiungere (che ovviamente si chiama Noè), il messaggio radio, gli scontri con gli zombie, ecc. E c’è anche uno sviluppo e interazione dei caratteri meno dettagliato  e più sbozzato, come nella contrapposizione evidente Sonia/Marco (l’amore sincero) e Franck/Perez (il sentimento finto e cinico). Ma soprattutto – è questo il dato rilevante – c’è la scoperta della gravidanza di Sonia, che prosegue nella metafora iniziale: essere incinta la rende immune, a proteggerla dal virus è l’attesa di una nascita futura, rivestendo il filone umano di nuovi significati (la coppia cova la morte, ma anche la vita). In questo senso, allora, più che al settore degli epidemic movies, Mutants va indubbiamente accostato alla riflessione dell’horror transalpino sui rapporti umani, il corpo, la figura femminile contenuta nella “Nouvelle Trouille” (Alessandro Baratti), di cui A l’interieur resta oggi la stella polare (altra donna incinta, altro orrore).

Il finale chiude la partita simbolica. Se il rapporto tra Sonia e Marco esplode (ancora nel sangue), a ben guardare non tutto finisce: il compimento della gravidanza, che nello scenario apocalittico garantisce il proseguimento della specie (canone di genere), nel nostro caso concretizza l’esperienza di coppia e ci dice che qualcosa resterà. Vediamo la donna con la mano sulla pancia nell’ultima, classica inquadratura prima della dissolvenza. Gli amanti si scontrano nel recinto in un violento intrigo di eros/thanatos nella scena migliore del film. Montaggio sincopato e musica incalzante di Thomas Couzinier, makeup a tratti sconvolgente, agghiacciante mutazione di Francis Renaud soprattutto nella prima parte. La studiata e approfondita concezione dei legami sentimentali condanna Mutants all’invisibilità: nell’Italia rassicurante e familista non c’è spazio per una lettura così disturbante e verosimile. La metafora è servita.