Drammatico, Mélo

MATADOR

TRAMA

Madrid: Angel frequenta una scuola di tauromachia gestita da Diego Montes, un ex torero che il ragazzo inizia a considerare suo modello personale. Arrivato a casa, dopo un colloquio con Diego, Angel stupra la sua fidanzata e successivamente si autoaccusa di delitti mai commessi…

RECENSIONI

Annegamento, soffocamento, impiccagione, sangue che cola, bocche spalancate e urla di dolore. La televisione trasmette violenza, Almodóvar – eterno demiurgo della mostrazione del contrario – mette in scena nella prima sequenza del film, Diego Montes (maestro torero interpretato da Nacho Martínez) intento a masturbarsi sul divano. Sono le passioni perverse ad agitarsi in una danza macabra nella sequenza successiva all’incipit dove, attraverso un montaggio alternato, il regista proietta l’arte della tauromachia impartita agli allievi in atto tangibile, in omicidio reale commesso da una donna durante un rapporto sessuale. È la passione per il contrario che alimenta la complessa architettura cinematografica di Matador: «ti piacerebbe vedermi morta?» chiede Maria a Diego mostrando il legame indissolubile tra gli opposti Eros e Thanatos; la dissipazione dell’eccesso - la fascinazione nel dare la morte, il feticismo di Maria per gli oggetti appartenuti al torero – viene messa sullo stesso piano dell’adorazione servile dell’Opus Dei; il tono tragico del thriller postmoderno viene assimilato a quello visibilmente mondano della movida e delle sfilate di moda, come indica la magistrale battuta dello stilista alle modelle: «le pere, per favore, andatevele a fare in bagno». Il regista parte dalla figura dominante della donna-protagonista,  tratta dalla migliore tradizione del melodramma americano, per arrivare alla contaminatio più sfrenata composta da citazioni da altri film (Duel in the sun di King Vidor  trasmesso al cinema e Sei donne per l’assassino di Mario Bava per quanto riguarda la sequenza della donna affogata nella vasca da bagno), costruendo in questo modo un sistema di riferimenti e ripetizioni anche a livello di fotografia e di messa in scena – Eva vestita di rosso, ripresa frontalmente davanti alle curve delle ringhiere che diventano corna, ricorda fortemente l’immagine di un toro  - . Almodóvar attraverso una poetica artificiosa e ancorata a uno stile ancora troppo kitsch, visibile soprattutto nelle sue opere degli anni ottanta come ad esempio Entre tinieblas, porta all’estremo la traccia costitutiva del genere. La svuota dell’enunciato e  la fa vivere solo grazie alla costruzione ossimorica di significati che alla fine di Matador si risolvono durante un’eclissi «quando due astri si sovrappongono, la loro luce sembra estinguersi, ma nella loro breve convergenza acquistano una nuova luminosità, nera e ardente» attraverso l’unica sublimazione possibile, la morte inflitta dall’altro. «Non ho mai visto due persone così felici» dichiara il commissario vedendo i due corpi nudi e abbandonati l’uno all’altra sul tappeto.