TRAMA
L’americano Christopher si reca su un’isola giapponese già visitata in passato per cercare Komomo, la prostituta a cui promise la libertà. Una donna sfigurata lo aiuterà nelle ricerca svelandogli a poco a poco i terribili fatti accaduti e mettendolo di fronte alle sue colpe.
RECENSIONI
Nero giapponese
Autore di punta della cosiddetta new-wave giapponese, Miike Takashi conferma il suo approccio disturbante nel tredicesimo episodio, ormai di culto, per la serie televisiva "Masters of Horror". Il progetto, voluto da Mick Garris, raggruppa gli autori più importanti del genere horror che sono stati chiamati dalla rete televisiva statunitense Showtime a dirigere un mediometraggio in totale libertà creativa. Ma lo sguardo di Takashi è risultato eccessivo anche per una tv via cavo a pagamento e l'opera prodotta è stata censurata e non ancora trasmessa. Sull'onda del clamore mediatico, che farà sicuramente bene alle vendite in dvd, la visione lascia turbati e confusi (ma anche il più riuscito "Jenifer", di un rinato Dario Argento, non scherzava). Lo scorrere dei fotogrammi ha il sapore di un "Memorie di una geisha" raccontato come "Rashomon" con digressioni alla "Hostel". L'ambientazione è in un postribolo nipponico durante l'epoca Meiji (fine del diciannovesimo secolo). In una notte di delirio un americano incontrerà i suoi fantasmi grazie alla complicità di una prostituta dalla doppia personalità. I punti di vista si moltiplicano, il passato ritorna con prepotenza e la verità ha varie facce, tutte sfigurate dall'impossibilità di scendere a patti con le proprie pulsioni. Nessuna redenzione è quindi possibile e ogni speranza viene negata, ai personaggi come allo spettatore. Fedele al sadismo per cui è diventato celebre (i suoi titoli più famosi, "Audition" e "Ichi the killer", ne sono un manifesto), Takashi non perde l'occasione di inserire lunghe sequenze al limite della sopportazione. La tortura alla ragazza colpevole solo di essere bella e gentile non risparmia, con morbosità, nessun dettaglio e i numerosi feti abortiti sono esposti con compiaciuta voglia di shoccare. Ed è forse questo il limite del film, che fa leva su paure ancestrali, stimolando la parte nera di ognuno di noi, senza però il supporto di una narrazione in grado di togliere gratuità all'efferatezza della messa in scena. Lo sgomento è inevitabile, e fa piacere che qualcuno si allontani con lucidità e rigore visivo dai canoni morali imperanti, ma l'operazione suona furbetta e il disturbo resta perlopiù in superficie.