Grottesco, Miniserie, Recensione, Sky, Storico

M – IL FIGLIO DEL SECOLO

TRAMA

L’ascesa al potere del socialista Benito Amilcare Andrea Mussolini, dalla fondazione dei Fasci di combattimento nel 1919, passando per le prime sconfitte elettorali, fino al discorso in Parlamento del 3 gennaio 1925.

RECENSIONI

Seguitemi anche voi, mi amerete

Il romanzo Premio Strega (2018) di Antonio Scurati, prima parte di una pianificata tetralogia su Mussolini e il fascismo, è adattato da Stefano Bises e Davide Serino (insieme autori di Esterno notte) mantenendo e amplificando la narrazione in prima persona del futuro dittatore e trasformando gli eventi storicamente documentati in un oggetto “cubista” (Wright dixit), lontano dal canonico approccio biografico. Il colpo di genio del produttore per Sky Studios Lorenzo Mieli (che ha scelto anche l’immenso Luca Marinelli, testa rasata, truccato e ingrassato di 20 kg per il ruolo) è stato quello di proporre la messinscena, quando la stesura del copione era ferma al quarto episodio, all’inglese Joe Wright: il più adatto, per iconoclastia, a restituire in modo caleidoscopico la narrazione.

Un incrocio tra L'uomo con la macchina da presa, Scarface e la cultura rave

È quanto ha dichiarato Joe Wright rispetto al suo approccio: inserti di documenti dell’epoca (anche simulati, anche iris e fotostatiche), efferatezze criminali e scene come quella di M-rockstar preso al volo dalle camicie nere festanti (un tocco alla Sorrentino). Mentre la commedia, finanche grottesca, scorre sotterranea, Wright regala i suoi preziosismi cinematografici, fra soluzioni espressive surreali e immaginario vario, in un’opera girata per lo più negli studi di Cinecittà:

 

  • M in tinte blu che manovra un proiettore guardando se stesso
  • un flashback nel 1914 con il dettaglio di varie bocche che denigrano il protagonista
  • la bomba a mano che gira come una trottola durante un pestaggio
  • il sesso in soggettiva
  • un sogno lynchiano con teatro di burattini
  • un improvviso incontro di pugilato
  • la scenografia gigantista nella stanza del cardinale
  • il “cinema” proiettato sui finestrini dell’automobile
  • il ‘videoclip’ che riassume le denunce di Matteotti

L’intuizione decisiva del regista, però, è stata quella di affidare la colonna sonora a Tom Rowlands dei Chemical Brothers, per un contrasto ancor più anticonformista nel segno di una musica elettronica che, quando parte, dà il segnale per sbizzarrirsi con immagini e giochi di montaggio. Anche la scelta di Elvis Presley nella scena in cui M minaccia il Parlamento va in questa direzione.

Wright, da un lato, è prigioniero consenziente del testo e della sua impostazione (ha anche contribuito, spingendo gli autori a osare sempre più e a rendere progressivamente più cupo il raccontare), dall’altro lo esalta in soluzioni visive, toni e sottolineature, giocando comunque in casa in una biografia che è cinema con teatro a propensione fiabesca e allegorica, atta a proiettare gli eventi storici in un altro pianeta da multiverso: non poteva essere altrimenti dato che, per gli autori, M era principalmente un teatrante (“Recito sempre, anche con i miei”), finanche shakespeariano (quando colloquia con il proprio busto o quando vede i fantasmi delle sue vittime). La narrazione in macchina da presa, poi, serve l’altro stilema prediletto da Wright, quello propenso a mettere a nudo i meccanismi e trucchi della rappresentazione (nel caso di M, di sé).

Ho creato dei mostri

Il testo non fa di M il mostro di Düsseldorf ma un uomo che avrebbe fatto di tutto per ottenere il potere. Il suo sogno non era fondare il fascismo o guidare dei facinorosi ma diventare capo del governo e creare una rivoluzione dall’interno. I veri rappresentanti di un fascismo idealizzato e non corrotto sono altri, da Gabriele D’Annunzio a Cesare Forni. M esterna il suo odio per i fascisti violenti, che chiama cani da guerra perché minano i suoi piani per arrivare al vertice: ha, infatti, l’idea di addestrarli e ammansirli per ottenere il primo partito con un esercito pagato dalle istituzioni (“Ora serviamo lo stato, non la rivoluzione”). Ma la maschera esige il suo palco: quando M guarda Madame Butterfly con trasporto (finanche un animo sensibile…), entrano a teatro le camicie nere che lo acclamano e deve iniziare a recitare un altro personaggio (‘Caliamo su Roma!’). Quasi suo malgrado, dice alla macchina da presa: “Ora non si torna indietro”. Cos’era, dunque, il fascismo? Ogni volta che il testo prova a descriverlo resta volutamente sul vago contraddittorio, per specchiarsi in un protagonista ondivago.

Il fascismo è contro tutto:

  • Chiesa: M sfida pure Dio, per occuparne il posto facendosi osannare dalla folla
  • Stato: M è contro le elezioni, poi cambia idea
  • Monarchia: nella persona di Vittorio Emanuele III, rappresentato grottescamente come un nano sul trono
  • Capitale: M da socialista contro la borghesia a borghese contro il socialismo

Cosa fa un fascista:

  • Dà la pace all’Italia con la guerra
  • Porta avanti la legge del più forte
  • Usa la legge del bastone contro il caos della mente
  • Crede nei pochi contro tutti
  • Ottiene sempre di più, con ogni mezzo

Mi avete amato e poi odiato perché avevate paura di quel folle amore

Se non vuole restituire il fascino di M né le dinamiche con cui ottenne consensi, la serie però mostra fino in fondo, rendendola la sua principale preoccupazione, quanto è stata complice la nazione, fra inani, piccola borghesia preoccupata dal comunismo, vertici politici pavidi.

  • Quando M viene sconfitto alle elezioni, dichiara morto un fascismo che viene resuscitato dai poteri finanziari forti. Per combattere il rosso ci vuole il nero: M li asseconda, facendo una capriola in avanti rinnegando tutti i suoi credo, andando contro i braccianti, gli sfruttati, gli operai che ha sempre difeso.
  • I fascisti violenti erano quattro gatti facilmente arrestabili: 40 milioni di italiani contro una marmaglia. Presidente del Consiglio e Re, però, tentennano: d’altro canto M, da grande attore, convince gli opponenti che i fascisti sono insorti in tutta Italia.
  • Quando c’è bisogno di rappresentanti fascisti in Parlamento, M accetta tutti i deputati voltagabbana (e vari funzionari da tutta Italia) che, per restare al potere, cambiano casacca. Si rivolge anche alla Chiesa (che si piega per interesse) e ai suoi voti cattolici per vincere le elezioni. La sola voce contro è quella di Matteotti. Giustamente M commenta con un lapidario “Così si distrugge l’Italia per ricostruirla”.

Non è stato M a rendere l’Italia fascista ma quei pochi fascisti a fare di lui il loro Duce che, infine, getta la maschera e ammette i propri delitti in Parlamento, certo che nessuno (neanche Giolitti) osi destituirlo seguendo le regole democratiche. 

Questo è il mio tempo: uomini forti e idee semplici

Tronfio, inetto, vanesio (la gelosia per Gabriele D’Annunzio), opportunista (l’omicidio Forni), bugiardo (sul delitto Matteotti in Parlamento e direttamente in faccia alla moglie di quest’ultimo), Uno Nessuno Centomila:

Chi sono?”, si chiede. Risponde Margherita: “Sei tutto e il contrario di tutto”. Perché chi vuole il potere non può permettersi di essere uno solo. M, all’inizio, cavalca la rabbia dei dimenticati reduci di guerra, degli ultimi e degli scontenti e ci sono più ammiccamenti di matrice trumpiana (“Make Italy great again”). Poi tradisce tutti: D’Annunzio che stava per rubargli la scena (“Bisogna uccidere il padre per poter nascere”), il duro e puro Forni, i fedelissimi e, soprattutto, se stesso. Lo ammette rivolgendosi al pubblico, dichiarandosi, in questo, coerente (le tracce di commedia nel testo continuano, come quella reiterata sul far fuori Cesarino).

Uomo forte? Senza certi aiuti non sarebbe arrivato dove è arrivato: il suo braccio destro "Cesarino" Rossi (l’ottimo Francesco Russo), con cui ha fondato il quotidiano Il Popolo d'Italia; la facoltosa Margherita Sarfatti (eccellente Barbara Chichiarelli) che pare forgiarlo e guidarlo a ogni passo. A un certo punto, poi, M pare davvero convincersi che gli italiani lo amino nonostante i brogli, le violenze e gli assassini per arrivare al potere. Dice bene Don Sturzo: “Se siete così sicuro che l’Italia vi voglia, perché truccare le carte?”. Di certo, ed è l’aspetto che più sottolineano gli sceneggiatori, M era un perfetto politico (nel senso deteriore del termine), abile a manipolare e ottenere con lo scambio (in una fase intermedia pre-dittatura) ciò che si prefiggeva.

Liberati dall’ossessione di essere amato da tutti

C’è un difetto nella miniserie, insito in un testo che ammicca agli antifascisti senza intaccare le convinzioni dei simpatizzanti sull’altro fronte.

Nel selezionare i dati da mostrare/spiegare, la sceneggiatura omette il più possibile le qualità di M, svilendone volutamente la figura fino a indebolire il j’accuse: ne è una prova lampante il momento in cui, una volta Presidente del Consiglio, il sin lì denigrato M, tutto a un tratto, dimostra di avere idee innovative per l’Italia ma non è dato sapere da dove sgorghino. Nonostante le dichiarazioni contrarie degli autori, la figura di Mussolini non è quindi approcciata con equidistanza o calibrando le potenziali simpatie con il rigetto per le sue azioni esecrabili ma è volutamente ridicolizzata fin dall’inizio, venendo a mancare quel minimo di ambiguità fertile e cavalcando, spesso, scene facili/esagerate per connotarlo negativamente (quando, per l’ennesima volta, Benito rinnega se stesso in un millesimo di secondo di fronte alla montagna di soldi fornita dai borghesi). L’ascesa al potere di Mussolini risulta meno credibile di quel che dovrebbe, né è spiegato il consenso ottenuto (nemmeno perché il re, a un certo punto, nomini M Presidente del Consiglio).

Per quanto in modi stravaganti e originali (bellissimo il modo in cui racconta, a posteriori, il delitto Matteotti), il testo per immagini non analizza i perché ma il come, affidando quest’ultimo a una figura ridicola e affetta da mascolinità tossica (Wright dixit, riferendosi a quella di matrice politica: ma larga parte è dedicata anche al rapporto con la moglie e le amanti) e dando più al Caso (l’inchiostro che si rovescia prima che il re firmi il decreto per fermare M) che allo scontento la forza motrice degli eventi devastanti a seguire. Mentre Bises e Serino dissacrano la figura di Mussolini per avvicinarla allo spettatore nelle vesti di un personaggio da farsa, Wright rincara la dose rifacendosi (come dichiarato) anche a Brecht per decostruirne i meccanismi seduttivi: tutto ciò depotenzia, oltre le intenzioni degli autori, la portata dell’analisi sulle ragioni del fascismo e lo studio del Male, ridotto a mera casualità e stupida violenza al potere.