
TRAMA
Gabriele ritorna al paese natale in tempo per assistere alla morte del padre, Ernesto. Le ultime parole dell’uomo rievocano un episodio accaduto molti anni prima.
RECENSIONI
Dopo le geometrie postmoderne di Colpo d'occhio, Rubini fa ritorno, al pari del suo protagonista, all'amata Puglia anni Sessanta, con un adattamento piuttosto libero - e forse per questo non dichiarato nei credits - del romanzo Via Gemito di Domenico Starnone (anche sceneggiatore). Fortemente ripensato nella forma e più ancora nella sostanza (il Federico/Ernesto di Starnone è una figura dispotica e umorale, all'origine di un complesso d'Edipo che il figlio non riesce mai a superare completamente), il testo fornisce al regista lo spunto per una garbata commedia sugli amati temi della vanità delle apparenze e della centralità del sogno. Ma, più che le sequenze marcatamente oniriche, ingessate in un fantastico di maniera (enfatizzato dalla ridondante partitura di Piovani, in fondato sospetto di riciclaggio), o quelle in cui Rubini sfoggia la sua indubbia abilità dietro la macchina da presa (i litigi domestici che scivolano letteralmente intorno al piccolo Gabriele; la scena della festa di compleanno, con la presentazione del rinnovato Cézanne che ingloba, assorbendone i tratti, il teatrino delle marionette), ne L'uomo nero sono degne di nota le scene di quotidiana frustrazione minimo borghese, con il crollo delle illusioni infantili incarnato dalla figura di zio Pinuccio [uno Scamarcio finalmente attore, e non (solo) belloccio da locandina], e gli intermezzi corali che catturano, in pochi tratti, l'essenza amarognola del piccolo cosmo provinciale, ridicolo e rassicurante nella sua occhiuta ipocrisia (il corteggiamento della "signora vedova", il rito collettivo della televisione). Il resto, e non è poco, lo fa la direzione d'attori, semplicemente superba: e se Scamarcio e Falchi (si) rifanno, con tutta l'accortezza del caso, (a) Gassman e Sandra Milo, la sorpresa è Golino, perfetta, con la sua recitazione come al solito "stonata", nei panni della maestrina di paese. Gifuni e Buy sono, per i rispettivi ruoli, un lusso quasi eccessivo, mentre le note meno felici provengono proprio da Rubini, che, se non cede alla tentazione alleniana di concedersi troppi primi piani, sembra quasi bloccato dal timore di non riuscire abbastanza simpatico e, così facendo, finisce per annacquare oltre il necessario e il lecito un personaggio già un po' troppo edulcorato rispetto alla fonte letteraria.
