Drammatico, Recensione, Sala

LE OTTO MONTAGNE

NazioneItalia, Belgio, Francia
Anno Produzione2022
Durata147'
Trattodall'omonimo romanzo di Paolo Cognetti
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Pietro e Bruno, amici d’infanzia e ora uomini, cercano di cancellare le impronte dei loro padri. Attraverso le difficoltà della vita, i due finiscono sempre per ritornare a casa, sulle montagne.

RECENSIONI

Pietro è un ragazzo di città, Bruno è l’ultimo ragazzino a vivere in un paese dimenticato della Valle d’Aosta. Diventano amici in questo angolo nascosto delle Alpi: se la vita inizialmente li separa – Bruno resta fedele alla sua montagna, Pietro gira il mondo – il destino li riavvicinerà. Il romanzo di Paolo Cognetti ne riflette in parte la reale esperienza di vita  e non è un dato da sottovalutare, nel senso che la verità che traspare da quelle pagine si ritrova anche nel film, nell’amore per i luoghi che ritrae, nella partecipazione emotiva con cui racconta la sua storia e ne tratteggia i personaggi. È facile (lo dicevo già da Cannes) additare i difetti del lavoro di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch: la durata abnorme, il voice over - pedante e poeticistico - che sbilancia una narrazione che per molti aspetti sembra voler procedere per ellissi, il rapporto tra i due personaggi risolto in maniera un po' superficiale, certe derive cartolinesche (laddove la montagna vuole significare tutt'altro e non fungere da puro fondale), lo score - composto di canzoni indie-folk - alla lunga stucchevole. Ma ci sono opere che vanno sentite prima col cuore e poi valutate con la testa, a partire dallo stesso romanzo di Cognetti la cui forza non risiede sicuramente nella (non eccelsa) scrittura, ma nella direzione verso la quale punta e nel mondo che racconta. Il film, al netto delle sue imperfezioni, riesce a trasmettere lo spirito della storia, a restituirne la dimensione umana e a farne racconto a tratti coinvolgente, tempestato di verità condivisibili.

Le otto montagne è allora un'escursione a suo modo persuasiva nel destino complementare di due uomini segnato dal rapporto con un’unica figura paterna (biologica per uno ed elettiva per l’altro) essa stessa scissa (l’uomo, cupo in città, solo in montagna riesce a illuminarsi). Una parabola sull'ambiente che forma i caratteri e in cui vibra, sottopelle, la dialettica  tra ciò che si è vissuto e ciò che sarebbe potuto accadere (Bruno diventa il figlio che Pietro avrebbe potuto essere, entrambi versioni possibili di un’unica vita). Due personaggi letterari che trovano in Luca Marinelli e Alessandro Borghi una perfetta incarnazione cinematografica, frutto di un’alchimia tra i due interpreti che sappiamo esistere anche fuori scena, dato rilevante proprio per quel dato sensibile a cui accennavo. Un film che, come il romanzo, sa a chi si sta rivolgendo e che, al di là degli esiti critici (come sempre in rapida evaporazione), avrà una schiera di affezionati cultori.