TRAMA
Gilberto partecipa ad uno ‘speed date’, un appuntamento organizzato tramite Internet per trovare l’anima gemella. Quando la moglie Tiziana lo viene a sapere lo caccia di casa. Gilberto trova un rifugio temporaneo a casa del collega Andrea, da poco fidanzato con la giovane Carlotta, e cerca di riprendere in mano la sua vita.
RECENSIONI
Ma che colpa abbiamo noi ha ristabilito il feeling tra Verdone e il pubblico. Questo nuovo film, più riuscito, si propone di consolidarlo, attraverso la capacità del mattatore romano di creare un'identificazione tra spettatori e personaggi. Il punto di vista è sempre quello della media borghesia, e come tale minato da un certo conformismo di fondo, ma le dinamiche rappresentate sono universali. Interrogativi sulle risicate possibilità dell'amore di resistere alle congiure del tempo non turbano solo i salotti di buona famiglia e Verdone ha il pregio di imbastire una storia comunicativa e non per forza di cose totalmente conciliante. Come al solito il suo cinema affianca idee valide, anche se non propriamente originali, a sciatterie, soprattutto nella messa in scena, con una regia a totale servizio del racconto ma incapace di imprimere un taglio personale alle immagini. Basta pensare all'imbarazzante anonimato dei titoli di testa, o ad alcuni dettagli, come la luce "qualunque" che ingrigisce goffamente la resa dei conti al tennis club; oppure il becero accostamento da sit-com tra riprese live (televisive) del concerto di Joe Cocker e riprese in studio di Verdone tra il pubblico; fino ad arrivare al doppio split-screen per mostrare due telefonate risolutive, perdipiù in banale consecuzione. Ma il cinema di Verdone è fatto soprattutto di sceneggiatura e di attori, e questo nuovo capitolo sulla precarietà dei sentimenti, da questo punto di vista riesce a non deludere le attese e a mantenersi al passo con i tempi, senza cedere del tutto alle lusinghe modaiole (lo speed-date) e alla (presunta) fame di lieto fine dell'audience. Sono infatti le mezze tinte le vere protagoniste, con un'apprezzabile attenzione nel caratterizzare i personaggi in modo sfaccettato: non solo positivi, non solo negativi, ma molto umani nelle loro contraddizioni. Peccato per le solite, evitabili, macchiette (il truccatore gay, la sciroccata zen) o per alcune scelte (la professione della moglie, psicoterapeuta prestata alla televisione) che rincorrono le banalità. Gli interpreti sono tutti a loro agio e in parte. Tra i tic nevrotici della Morante (brava ma basta!) e la luminosa grazia della Rocca, è quest'ultima ad uscirne vincente, anche se entrambe incarnano con verve due opposti femminili, sia nel fisico che nel carattere. A dominare la scena è però un Carlo Verdone in forma smagliante, meno patologicamente ansioso e più seriosamente buffo nel dipingere dubbi, paure, speranze e meschinità dell'italiano medio. Si ride parecchio e di gusto, con punte davvero spassose (la notte in albergo a Nizza), anche se ad imporsi è l'incertezza, unico punto fermo tra il bisogno di stabilità affettiva e la necessità di non trasformare la propria vita in sconsolante routine.