TRAMA
Londra, 1888: un killer uccide e mutila prostitute. L’ispettore Abberline indaga…
RECENSIONI
Ennesima variazione sul tema della figura, all’origine storica ma divenuta ormai (per altrui meriti artistici) mitica, di Jack lo Squartatore, “From Hell” (espressione che suggella le lettere inviate dal serial killer a Scotland Yard) ripercorre i noti fattacci accreditando, per quanto riguarda l’identità dell’omicida, la pista che vuole coinvolte nei crimini persone molto vicine alla Corte e addirittura imparentate con la regina. Il punto di vista è quello di un gruppo di ragazze di strada per le quali i vicoli, loro vera casa, divengono anche più pericolosi del solito, ora che dalle ombre notturne non si materializzano più “soltanto” sordidi papponi.
Poteva essere un’occasione per rileggere vicende abusate con un’ottica nuova, attenta alle contraddizioni della doppia, tripla, sfaccettata (im)moralità vittoriana, che ricerca ostentatamente innocenza, purezza sessuale ed altruismo, ma solo in superficie, e più in generale della nascente società di massa, rigidamente conformista ed orridamente affamata di notizie “succose” (quest’ultimo spunto fa capolino nella didascalia che apre il film). Le intenzioni satiriche, per la verità, ci sarebbero: quello che manca è la capacità di uscire dal bozzettismo, di formulare personaggi e non stereotipi (la gallerie delle puttane, da questo punto di vista, fa cadere le braccia), in una parola di andare oltre il semplice lavoro di genere. Il problema è che, anche dal punto di vista del thriller, non tutti i conti tornano: le atmosfere sono adeguate ma la tensione scarseggia, e qualche notevole sequenza horror (il primo omicidio, chiaro omaggio a Scream) non basta a risollevare le sorti di un racconto che s’impantana quasi subito in una piatta rimasticatura di “teorie della cospirazione”, ripiena di cattivi da operetta ed appesantita dall’obbligatoria love story tra il poliziotto oppiomane e la traviata dal cuore d’oro. E soprattutto: possibile che la colpa sia sempre della massoneria (oltre che del pensionamento affrettato)?
Johnny Depp, adeguatamente tenebroso, non ritrova l’autoironia sfoggiata in Sleepy Hollow (ma forse non è tutta colpa sua); Heather Graham, alle prese con una parte ingrata nella sua staticità, se la cava più che bene. Troppo gigione Ian Holm.
1888. Cala la notte su una Londra che sembra Gotham City (in realtà Praga) e un mantello nero dal passo elegante si aggira per i vicoli degradati del quartiere ghetto WhiteChapel. Dietro al mantello si cela nientepopodimeno che il più famoso antenato degli odierni serial-killer: Jack Lo Squartatore. Un mostro che si appresta ad entrare negli incubi di intere generazioni, il cui pedigree vanta dettagliati squartamenti di giovani, e meno giovani, prostitute.
Sembra un tipico caso di estrema depravazione, ma un giovane ispettore scoprirà un elaborato piano di mistificazione.
Il film di Albert e Allen Hughes mantiene meno di quello che promette, ma si lascia seguire con una certa curiosità e partecipazione.
Colpiscono alcune raffinatezze visive (il primo omicidio attraverso squarci di luce sulla lama di un coltello, prima luccicante e poi sempre più insanguinata) e diverte, anche se dopo un po' la soluzione del mistero si intuisce, la teoria elaborata per giustificare una figura tristemente leggendaria del secolo scorso. Quella che manca è forse una riflessione sulle origini del male, sul buio emotivo dell'assassino, sulle motivazioni che spingono a delitti così efferati. Così dopo un po' il film prende la piega di un giallo convenzionale, dove è possibile scegliere l'assassino tra una rosa di sospettati. In parte Johnny Depp, anche se ultimamente sembra destinato ad alternare con poca fantasia gitani rubacuori a detective solitari e malinconici. Il suo particolare dono di preveggenza, poi, arricchisce il film sul piano visivo, ma lo dirige verso binari di genere. Tra l'altro il ricordo del non memorabile "gift" di Cate Blanchett è ancora fresco nella memoria.
Un po' appiccicato, ma almeno fuori dalle aspettative, il finale.
L'inferno dei gemelli di colore Hughes ha sempre le sembianze di un ghetto dove miseria e violenza affondano i loro canini nelle immonde carni del degrado, della depravazione, dell'intolleranza, dell'oblio. Non importa se siamo nella Los Angeles del novecento (Nella Giungla di Cemento) o nella Londra (ben ricostruita a Praga dallo scenografo Martin Childs) del 19º secolo: connaturati alla società umana ritroviamo l'uso di droghe, lo sfruttamento della prostituzione e delle umane debolezze (Elephant Man), le manie di grandezza, gli atti truculenti, gli insabbiamenti, le massonerie. Jack lo Squartatore, con i suoi delitti seriali in prossimità dell'Era della Riproducibilità Tecnica, ha aperto le danze agli olocausti a venire. I giovani e talentuosi registi alzano gli occhi al cielo squarciato da colori irreali, si muovono con occhio inquieto fra i vicoli (mdp a mano), dove l'oscurità ha la meglio sui barlumi di luce, dove l'olezzo della sporcizia e del peccato imbratta i muri, dove la nebbia nasconde il volto diabolico dei potenti, dediti all'orrore con approcci scientifici. Quello degli autori è un concentrato di terrore vero, deformato nello sguardo, secco e lucido nel racconto, potente e doloroso nei riferimenti continui alla natura dell'essere umano, senza esorcismi consolatori: la mente dei politici superbi non è meno perversa e disumana di quella del folle sguinzagliato. Nei meandri di tanta follia, pulsa il cuore dell'indagatore dell'incubo Johnny Depp (Il mistero di Sleepy Hollow, ancora), un visionario romantico votato al sacrificio d'amore e custode di una verità che non verrà consegnata ai posteri (ma ci ha provato Bob Clark in Assassinio su Commissione), perché la vera storia di Jack nessuno l'ha ancora scritta. La sceneggiatura di Terry Hayes e Rafael Yglesias, ispirata ai fumetti di Allan Moore, ad un certo punto smussa l'ipnosi con la fantapolitica e il "fanta"-horror, risveglia dal terribile incubo cui i registi, il direttore della fotografia (Peter Deming) e le reboanti musiche di Trevor Jones avevano efficacemente contribuito. L'intrigo di Corte, le pupille dilatate con la voce d'oltretomba di Holm e le caricature demonizzatrici dei potenti rischiano di rendere contingenti ed effettistici tutti quei segnali universali sparsi di morte e sconforto.
Tornano all’opera, poco attesi, gli Hughes Bros, dopo il convenzionale e derivativo Nella Giungla di Cemento e il più “maturo” Dead Presidents, per confezionare un disastro. E’ bene chiarire subito, infatti, che i fratelli non hanno un’idea di Cinema. Letteralmente. Reciso il cordone ombelicale col tema prediletto, e francamente scontato, dei neri americani “costretti” a delinquere dalle ingiustizie della vita, i due si avventurano nei territori del Thriller in costume e pretendono di raccontarci, secondo i puntualmente imbecilli distributori italiani, La Vera Storia Di Jack Lo Squartatore. Vera o no, la storia di From Hell è semplicemente raccontata male e stiracchiata, per un paio d’orette, lungo una pellicola che una regia volenterosa vorrebbe rendere Cinema. Il problema è che Albert e Allen non sanno che pesci prendere ma solo quali scartare e riaffidare alle acque: “Hollywood”, nel senso deteriore e banale del termine, sembra intenzionalmente evitata. La tecnica esibita (il lungo piano-sequenza iniziale è una dichiarazione d’intenti registici), le derive onirico-oppiacee, la Londra stilizzata e fumettosa, il ritmo tutt’altro che sostenuto, la (volutamente?) faticosa progressione drammatica e un’end affatto happy non sono che i maggiori sintomi di una ricercata distanza dalle codificate norme del Thriller americano “classico” post-silenceofthelambs. Il vero problema è che questa “distanza” allontana forse dal modello ma non avvicina a niente: carrelli, dolly e long takes sanno di anonimo e gratuito, le visioni premonitrici di Depp sembrano un’accozzaglia di outtakes dei migliori videoclip del satanista da asporto Marilyn Manson, la sceneggiatura si avvita su se stessa solo per nascondere la propria banalità di fondo e anche il finale, potenzialmente efficace, è parzialmente compromesso da una recitazione inadeguata (l’amico poliziotto si “imbalsama” di fronte al povero suicida) e da una puntatina dalle parti del ridicolo involontario (le monetone sugli occhi fanno un effetto vagamente “buffo”). Il resto è routinaria amministrazione a partire dalla solita, oscura città iperrealista alla Gotham City che fa da sfondo alla vicenda, fino alla prova di Depp che si riconferma attore monocorde ma che dà come sempre l’impressione di essere incredibilmente “in parte”. Cartina tornasole del fallimento dell’operina è comunque la recitazione del solitamente bravissimo (perch)e(‘) misurato Ian Holm, che qui gigioneggia come non mai…