TRAMA
Eric Price è un medico chiamato a indagare la sanità mentale della celebre vedova Winchester, ereditiera miliardaria impegnata nella costruzione di una gigantesca villa. I lavori proseguono da anni ventiquattro ore al giorno, ma forse l’ossessione della donna è dovuta a forze oscure scatenate dalla violenza intrinseca alla sua famiglia.
RECENSIONI
Che si tratti degli esperimenti di Frankenstein o delle deduzioni di Auguste Dupin, del contagio di Dracula o delle indagini di Sherlock Holmes, il fantastico dell’Ottocento nasce sempre dal contrasto tra ragione e occulto, evidenza scientifica ed emanazione soprannaturale. Per il mondo anglosassone, e ancora di riflesso quello americano, l’età vittoriana è il luogo in cui al positivismo del progresso scientifico segue il perdurare, sotterraneo e umbratile, di forze irrazionali e dell’inconscio, manifestazioni fantastiche che si moltiplicano tra racconti gotici e incubi notturni. Ѐ all’interno di questa dicotomia che i fratelli Michael e Peter Spierig decidono di costruire la loro versione della casa Winchester, mito tutto americano che vede la vedova del grande industriale impegnata nella costruzione infinita di una casa pensata per intrappolare gli spettri e i ricordi di generazioni di morti, ammazzati da quegli stessi fucili al cui successo si deve la ricchezza della famiglia. Al fianco della donna i fratelli calano quindi il personaggio del medico Eric Price (Jason Clarke), scienziato tormentato e piegato dalla dipendenza da droghe, il cui compito sarà quello di indagare la salute mentale della signora Winchester (Helen Mirren), colpita dalla perdita di figlia e marito e convinta che una maledizione perduri su quel che resta della sua famiglia. Da qui l’andamento de La vedova Winchester segue il più classico degli avvicendamenti di scienza e occulto: animato da teorie mediche e psicanalitiche, Price cercherà di ricondurre gli eventi in corso ad una spiegazione fenomenologica, ma l’emergere di forze sovrannaturali spazzerà via ogni argine razionale, lasciando i personaggi a confronto con la memoria rabbiosa di un passato che esige vendetta.
Costruita nel 1844 e da allora ristrutturata e ampliata ininterrottamente fino al 1922, la dimora Winchester conta la bellezza di 160 stanze e 1257 finestre, un labirinto di piani diversi, vicoli ciechi e spazi concentrici nato senza supervisione architettonica. Ma di questa casa leggendaria, oggi un landmark nella geografia spettacolarizzata degli Stati Uniti, i fratelli Spierig portano sullo schermo il minimo indispensabile. Limitati forse da un budget ridotto, i due registi non riescono a restituire la fascinazione “escheriana” di uno spazio impossibile, e si concentrano piuttosto sui più classici jump scares sparsi in una narrazione horror dal pilota automatico. A poco servono la minuziosa ricostruzione d’epoca o il professionismo della Mirren, questo film di orrore domestico manca drasticamente di atmosfera e gestione dello spazio, la cui bizzarria viene appiattita e ricondotta ad una confezione anodina e prefabbricata. Solo la parte finale, quando entra in gioco il terremoto californiano del 1906, La vedova Winchester riesce a restituire la caotica geografia della sua location, ma il confronto conclusivo schiva accuratamente ogni evasione dalla norma, ogni rischio e scelta personale, sprecando il suggestivo spunto di partenza del film, un senso di colpa atavico nato dalla violenza ormai intrinseca alla propria storia. Il Winchester è uno strumento di morte che è diventato simbolo e leggenda degli Stati Uniti, ma delle contraddizioni insite in una fortuna economica costruita sui morti ammazzati non v’è nulla qui, nessuna suggestione oltre il più blando e innocuo livello di guardia. Il risultato è un film che tocca un centro nevralgico della cultura americana nella sua accezione più spettacolare e mitica, ma da lì non va da nessuna parte, preferendo sfruttare storia e leggenda per imbastire un cinema di genere ai minimi termini, ordinario e innocuo.