Documentario

LA TRATTATIVA

TRAMA

Gaspare Spatuzza, affiliato a Cosa nostra, dopo anni di detenzione, decide di collaborare con la giustizia facendo rivelazioni sconvolgenti che fanno tremare i palazzi. Il collaboratore mette in luce l’esistenza di una trattativa tra stato e mafia. Un gruppo di ‘lavoratori dello spettacolo’ mette in scena la vicenda, ricostruita sulla base di un’imponente documentazione, giudiziaria e giornalistica.

RECENSIONI

Torniamo indietro a quel fatidico 28 marzo 1994. Le elezioni politiche, dopo che le inchieste per mafia e tangenti hanno spazzato via la classe politica al potere, vedono la vittoria schiacciante di Silvio Berlusconi, imprenditore ‘sceso in campo’ in politica. Segna l’inizio, invero gattopardesco, della Seconda Repubblica. Una trasmissione elettorale che segue i risultati ha come ospite Sabina Guzzanti, travestita per una delle sue imitazioni più riuscite, quella appunto di Berlusconi: naso finto, parrucca pelata, cerone, doppiopetto. Alla notizia della vittoria del suo imitato, la Guzzanti si tolglie con veemenza naso finto e parrucca, imprecando contro il nuovo premier. Quel gesto, involontario, quasi uno di quei traumi degli assassini di Dario Argento, è alla base di tutta l’attività cinematografica della Guzzanti a venire. Coerentemente anche questo suo ultimo film, La trattativa, torna a quelle elezioni per suggerire/dimostrare come il vero cambiamento in Italia sia stato fermato dalla discesa in campo di Berlusconi, una mossa orchestrata dai poteri occulti. Ma quel gesto della Guzzanti, quel togliersi il trucco, segna anche un passaggio dell’artista dalla satira all’invettiva spesso vuota e sterile.

Sabina Guzzanti è sempre stata, e rimarrà, una grande imitatrice, un camaleonte, uno Zelig, anche quando crede di avere abbandonato quelle vesti. La riuscita del suo precedente Draquila si deve all’aver fatto una buona imitazione di Milena Gabanelli e di quel tipo di lavoro giornalistico, con un’inchiesta ben condotta, decisa ad andare fino in fondo e in grado di aprire nuovi squarci di verità. La Guzzanti è poi una buona imitatrice, in questo caso dichiarata, di Michael Moore: tra lei e il documentarista americano c’è un rapporto di stima reciproca, più volte ribadito da entrambi. E in questa sua scimmiottatura emerge anche la stessa contraddizione forte di Moore. I film della Guzzanti, compresa La trattativa, sono da un lato un atto in sé, un gesto civile necessario che, come tale, dovrebbe essere svincolato da questioni e giudizi formali. George Bush vuole fare una guerra preventiva? Bisogna combatterlo con tutte le forze disponibili. Ma il rovescio della medaglia per entrambi è il loro essere fortemente invasivi, ai limiti dell’arroganza, nei confronti del pubblico, che viene obbligato a pensarla come loro. Ora la Guzzanti, per La trattativa, ha preso a modello Marco Travaglio, vale a dire quel giornalismo puntiglioso e ‘secchione’ che si basa sullo studio meticoloso, fin nella loro minima piega, e sulla divulgazione di atti processuali e giudiziari. A non riuscire è invece l’imitazione tentata a Elio Petri e al suo lavoro del 1970 Tre ipotesi sulla morte di Pinelli. Imitazione che riguarderebbe l’approccio nella messa in scena esibita nel suo farsi, con gli attori, che si dichiarano come tali, in realtà con umiltà lavoratori dello spettacolo, ostentando il loro mestiere dietro le quinte, l’interpretazione di personaggi reali, passando anche da uno all’altro, e mostrando anche il lavoro sul personaggio e il travestimento. La Guzzanti esibisce quel lavoro di imitazione che la contraddistingue, facendo anche vedere i trucchi, il make up, così come il teatro di posa e  il green screen. Il modello del film di Petri però si ferma qui e non si traduce in un processo dialettico, pirandelliano, rashomoniano, che porti ad analizzare con tutte le loro contraddizioni le versioni ufficiali. La tesi della Guzzanti rimane monolitica. L’operazione di messa a nudo, lo straniamento (per cortesia però non scomodiamo Brecht!) è condotta poi con notevole sciatteria, imitando stavolta i programmi televisivi giornalistici, quando ricostruiscono in modo posticcio, con attori, verbali o intercettazioni. Animazioni grafiche banali, e interpretazioni – valga per tutte quella di Massimo Ciancimino – che si risolvono in macchietta. Torna il Berlusconi con naso finto della scena primaria per la Guzzanti. Tutto però si risolve in un clima farsesco, per una farsa che non riesce mai a elevarsi a satira.

Infine va rilevato che rimanere sul sottile crinale tra aderenza alla realtà documentata ed esigenze della messa in scena è molto difficile. Non si può essere totalmente esenti da falle: la semplificazione divulgativa può essere essa stessa un travisamento. La stessa Guzzanti ammette “poche e calibrate licenze poetiche”. Il risultato è, per esempio, nella polemica lanciata dall’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli per il modo in cui è stata resa la vicenda della mancata perquisizione del covo di Totò Riina, modo che il magistrato definisce «una tecnica da cabaret per raccontare la pagina grave e oscura», mentre Marco Travaglio, lo rivaluta come «genere narrativo che, con due parole e due immagini fulminanti, aiuta lo spettatore a cogliere l’essenza di una realtà complessa». Poco cambia dal punto di vista metodologico.
Salviamo nel film, e riconosciamo alla Guzzanti,  il bel momento di ricordo di padre Pino Puglisi, il sacerdote assassinato dalle cosche, con cui la regista decide saggiamente di chiudere il film.