Drammatico, Evento, Recensione, Sala

LA MEMORIA DEL MONDO

TRAMA

Adrien, studioso d’arte e biografo dell’artista visivo Ernst Bollinger, si ritrova impantanato nella storia di cui è autore, coprotagonista del capitolo conclusivo della vita del grande maestro.

RECENSIONI

Attraversare

«Crea forme eternamente nuove; ciò che esiste non è mai stato; ciò che fu non ritorna - tutto è nuovo, eppur sempre antico». La metamorfosi delle piante di Goethe è uno dei testi ispiratori di Locatelli (regista e sceneggiatore) e Tarantelli (sceneggiatrice) e il frammento sulla Natura che ne estrapolo mi pare fotografare bene il loro cinema come opera in perenne trasformazione: La memoria del mondo è infatti l’ultima tappa di un percorso composto di nuovi inizi, opere tutte prime, lavori che smentiscono i precedenti in termini di forme e di linguaggio e che, tuttavia, il passato non lo cancellano, anzi, lo presuppongono. Non sorprende, dunque, che ogni film di Locatelli abbia un suo cast, che non ci sia una ricorsività di nomi, degli interpreti feticcio: il differente zoo umano che abita ogni sua opera ne consacra l’identità, ne garantisce l’unicità.
Quest’ultimo si afferma come film di paesaggi (e di passaggi), un lavoro che lancia lo sguardo su spazi in cui i personaggi gradualmente si fanno figure che li attraversano (lo fanno di continuo, anche negli interni: i corridoi dell’albergo, dell’ospedale, dello spazio museale), in cui - e qui il cinema di Antonioni entra in causa - non c’è un’adesione canonica al racconto, quanto piuttosto una sua constatazione nell’ambito di un quadro più ampio nel quale convergono ambienti, concetti, simboli, suggestioni. In cui la stessa storia è filtrata, mediata, congelata nel pomposo, volutamente ingombrante e poeticistico voice over di Adrien (Fabrizio Falco). Anche per questo motivo il ruolo di protagonista appare in discussione: se la figura attorno alla quale il racconto ruota è quella di Ernst Bollinger (Maurizio Soldà) - un artista che torna nei luoghi della sua infanzia per allestire una mostra-esposizione che si intitola per l’appunto La memoria del mondo -, la sua vicenda è narrata dal biografo Adrien che si ritrova suo malgrado inglobato nel racconto che sta scrivendo, coinvolto nel percorso umano del vecchio.

La misteriosa scomparsa della moglie di Bollinger, infatti, porta i due a muoversi in quei luoghi che sono al centro dell’attuale riflessione creativa e artistica dell’uomo, accompagnati da Giulio (Fabrizio Calfapietra), un giovane barcaiolo, terzo vertice di un triangolo quasi mitologico, una triade - fatta di pensiero, parola e corpo - che guada uno scenario acquatico fattosi, nella prospettiva dell’allestimento in preparazione, anche concettuale. Così l’oggetto dell’indagine pare gradualmente mutare, la ricerca della donna si trasfigura in una più ampia ricerca di tracce che appartengono a una memoria comune e a cui ciascuno attribuisce significati personali, trasformandosi in un pellegrinaggio che ha del tarkovskiano, in cui anche i termini di realtà si mettono in discussione e l’onirismo chiede asilo. La macchina da presa di Locatelli, consegnata a uno sguardo d’insieme che si articola soprattutto per pianisequenza, definisce un territorio emotivo che è dell’individuo come dell’umanità tutta, costruisce un’atmosfera satura di motivi e lo fa con toni ieratici, artifici pittorici, sguardo distaccato. Nell’algida messa in scena - calcolata, precisa, quasi asettica - anche la musica di Marco Robino ha un ruolo strutturale ed evocativo: non si fa mai decorazione sonora né tantomeno mero accompagnamento.

Approdare

È un film radicale e coraggioso che recupera un’idea di cinema che - dal citato Antonioni fino a Angelopoulos - oggi sembra poco praticata. E che nella sua smania sperimentale si fa progetto che travalica i confini dello schermo. Associata al film, infatti, c’è un'installazione site specific che riprende quella di Bollinger che vediamo nel finale, e che è stata allestita per la prima volta allo spazio Flashback Habitat a Torino (La memoria del mondo - Approdi). La storia e le immagini del film creano una dimensione che non si esaurisce nella sua durata, ma suggerisce un’idea che, reinventandosi, approda altrove, si rilancia come dimensione non più solo visibile, ma visitabile. Approdi trasforma le tracce del tempo di cui il film tratta in un luogo, un’atmosfera, degli oggetti e una performance, rivivificandone il tema fondamentale, quello della memoria sepolta e della relativa necessità di farla riemergere. Come accade nel film quando il paese dell’artista riemerge dalle acque rendendo visibile le sue vestigia. La memoria del mondo, insomma, arriva infine a installarsi in un luogo fisico che anche lo spettatore, come i personaggi del film, possono attraversare, diventa cinema espanso che supera la cornice dell’inquadratura, si fa tentare dalla realtà e vi si sovrappone.