TRAMA
Vincent Parry, uxoricida, evade da San Quintino: si dichiara innocente. Una pittrice, conosciutolo, gli crede e decide di aiutarlo. Un chirurgo gli cambia volto con la plastica facciale.
RECENSIONI
La prima parte, tutta girata in soggettiva (come il precedente Una Donna nel Lago di Robert Montgomery) e con inquadrature davvero insolite (lo stesso pensiero del protagonista si fa “voce fuori campo”) è potentissima e magistrale nel modo in cui crea, allo stesso tempo, un’identificazione totale con il personaggio (vediamo ciò che vede) e un estraniamento (in quanto soggetto misterioso, temibile). Daves, anche sceneggiatore, infila qualche ingrediente inverosimile (ad esempio il tassista onnisciente e misericordioso) ma ascrivibile senza contraccolpi nella vena pittoresca presente nell’opera. Il povero Humphrey Bogart, in un ruolo da ingenuo che gli si addice poco, per tutta la prima parte del film non compare davanti alla macchina da presa e, quando lo fa, è muto e bendato. Scoprirà, finalmente, il proprio volto con somma ironia (lo osserva allo specchio ed esclama “Niente male!”): da questo momento in poi, l’opera percorre strade estetiche più tradizionali ma l’intrigo resta appassionante (eccezion fatta per un finale all’acqua di rose con atmosfera alla Casablanca, fra motivo musicale che annuncia la presenza dell’amata e luogo esotico, il Perù), reitera certi segnali della prima parte (per il protagonista la città di San Francisco continua a brulicare di volti sospettosi e la soggettiva diventa mentale, se e in quanto dà corpo ai suoi timori ingiustificati). È il terzo film della coppia Bogart/Bacall (si sono sposati nel 1945) dopo Acque del Sud e Il Grande Sonno: l’attrice aveva già recitato questo soggetto in televisione, Bogart ha un legame particolare con Daves, dato che era lo sceneggiatore della prima pellicola in cui aveva un ruolo significativo (La Foresta Pietrificata). Occhio al carattere interpretato da Agnes Moorehead: per quanto da leggere fra le righe, è quello di una perfida ninfomane. Negli anni quaranta, età d’oro del giallo e del noir, andava di moda, nel titolo, l’aggettivo dark: “Dark mirror” di Siodmak (1945), “Dark alibi” di Karlson (1946), “Dark corner” di Hathaway (1946), “Dark city” di Dieterle (1950) e così via.