Recensione

LA CURA DAL BENESSERE

Titolo OriginaleA Cure for Wellness
NazioneU.S.A., Germania
Anno Produzione2016
Durata146'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Giovane promessa di Wall Street parte dagli Stati Uniti alla volta dell’Europa per raggiungere una misteriosa clinica del benessere tra le Alpi. Missione: riportare a casa il suo capo per questioni urgentissime d’affari. Fallisce, ma gli eventi lo costringono a restare lì, e quella strana, ambigua “cura” inizia anche per lui.

RECENSIONI

Thriller a doppio, triplo, quadruplo fondo. E la mente (e il corpo) del protagonista in pasto all'horror. Alla sceneggiatura di questo incubo stratificato, che sembra non avere vie d'uscita, in quasi due ore e trenta di film, c'è Justin Haythe; alla regia Gore Verbinski, che dichiara: «La cosa interessante, secondo me, è che più rendi enigmatici fatti e situazioni, specialmente in un film di questo genere, più puoi ricorrere a una sorta di logica onirica». Ecco, La cura dal benessere si espande sopra e dentro questa logica infilandosi tra le inquietudini e le angosce del Polanski più cupo, tra figure e immaginari rimessi al mondo da Dario Argento e Mario Bava, in un capovolgimento diabolico della Youth di Sorrentino. Ma se il risultato, prima di tutto, è puro spettacolo e primaria affermazione del racconto, lo svolgimento delle meccaniche del congegno cinematografico sembrano lambire i territori teorici di Fincher.
E Verbinski ordisce nervature e tensioni, pieni e vuoti della trama, ne registra incastri e mancanze, le attese e i rimandi; tira i personaggi come fossero corde, li ottunde, trasforma il set in un universo narrativo destabilizzante, in una assurda, grande macchina del tempo, fino a un finale che straborda, mostruoso, dopo aver rischiato, dopo aver rimosso e poi accumulato. Diffonde ambiguità e paura, il regista, ma evita le tortuosità di un Nolan e sceglie la vertigine. Il suo Lockhart (ottimo Dane Dehaan), una sorta di Jonathan Harker del Dracula stokeriano, è un giovane rampante di una società finanziaria, parte da New York e arriva tra le montagne svizzere, convinto di persuadere in poco tempo il suo capo (Harry Groener) a ritornare negli States dopo che ha mollato tutto rifugiandosi qui, in una clinica che sembra poter rigenerare il benessere delle persone. Ma le cose vanno diversamente, e ben presto, dopo un incidente e vari esami che manifestano valori preoccupanti, il protagonista si ritroverà anche lui nella condizione di paziente dell'istituto. O, forse, di prigioniero, in una crescita serrata e subdola di smarrimento del senso, di lucidità, di realtà. Piscine, bagni turchi, giardini, acqua da bere in grande quantità per purificarsi e abituarsi all'altitudine; stanze e luoghi misteriosi e inaccessibili. Una paziente che forse può aiutarlo a trovare pezzi di verità (Celia Imrie); il direttore della struttura, il dottor Volmer (Jason Isaacs), ora rassicurante ora - e sempre di più - obliquo, che lo sottopone al trattamento; la giovanissima e misteriosa Hannah (Mia Goth), anche lei in cura, che cammina a piedi nudi, parla poco e canta, figura a cui Volmer è legatissimo e che diventa fondamentale anche per Lockhart.

Tra gli esiti migliori della filmografia di Verbinski, cineasta strano e versatile, di ragguardevole ma discontinuo talento (Un topolino sotto sfratto, The Mexican, il primo The Ring e i primi tre capitoli della saga I pirati dei Caraibi, l'ottimo The Weather Man e quella prodezza che è Rango, The Lone Ranger, anche questo con Justin Haythe, ma non solo lui, in sceneggiatura). Un regista che, proprio come nel caso di questa sua ultima opera, non sempre ha trovato simmetrie tra i suoi film più validi e il botteghino, dividendosi tra grandi successi e flop economici, ma che con La cura dal benessere, con una storia di grande impatto visivo (notevolissimo il lavoro del direttore della fotografia Bojan Bazelli, già in passato al fianco di Verbinski) e con una narrazione tanto avvincente quanto deformante, ci consegna una riflessione acuminata sul nostro presente, distruggendo ogni nostro piccolo karma occidentale.