L’odio di cui parlo non è rivolto specificatamente contro nessuno; è quella sensazione che provo quando vivo la mia vita e vedo cose che non riesco a capire. Per questo faccio film: tentare di comprendere l’incomprensibile.
Kim Ki-Duk
Parlare è superfluo, spiegare volgare; meglio mantenere una componente mistica, un garbo triste e leggiadro, un mistero cristallizzato da osservare con cura. Contro la peregrina ricerca del “motivo”, contro la dimostrazione pedante e scolastica (questa sì, violenza contro lo spettatore), contro l’abbecedario della logica, Kim Ki-Duk: lo sguardo non è mai dottrina e vuole abbandonarsi all’immagine pura, visione nuda e senza imbarazzo. Cresciuto nel giardino dei Festival, esploso in Italia con PRIMAVERA, il coreano è commovente nel trattare pazzi, assassini, barboni e puttane come fossero vecchi amici; ci parla d’amore, morte e solitudine – anche in mezzo a tanta gente: da qui il filo diretto con Tsai Ming-Liang, alla cui vacuità collettiva ed insanabile (le storie parallele di CHE ORA E’ LAGGIU?) Kim spesso oppone la tensione su un’unica figura (sia essa donna o coccodrillo), sfiora il buco nero ma partorisce un brandello di poesia. Una poesia, ben inteso, sempre rigorosamente imbracata in un contesto atticamente tragico, che pure al suo acme lenisce soltanto la pena del vivere; un rigagnolo trasparente che si forma sulla guancia dei suoi personaggi, con leggerezza, per defluire nei rilievi del viso quindi sparire per sempre. La lacrima cade sul cemento.
Ridurre l’attuale infatuazione per Kim Ki-Duk ad una questione di moda cinematografica mi pare fuorviante e generico; da qui la nostra proposta di ripercorrere il Kim
invisibile, i primi film ancora (quasi) introvabili, la cui visione è continua sorgente di emozioni. Nell’incredibile CROCODILE – mai esordio tanto folgorante – scopriamo che FERRO 3 covava in potenza dieci anni fa, WILD ANIMALS (al maschile) è fatto per ridimensionare l’autore, riconoscendo in esso quanto sia ancora lontano l’affrancarsi dalla maniera orientale; BIRDCAGE INN (al femminile) racconta che talvolta gli uccellini in gabbia possono forse sorridere; di seguito L’ISOLA (cosa dire ancora?) e il devastante REAL FICTION, tra le opere più malate e sperimentali dell’ultimo decennio; ADDRESS UNKNOWN, in coppia diretta con THE COAST GUARD, ci mostra il volto politico di un autore che non rinuncia alla complessa costruzione visiva. Per inciso, più timido e corale il primo, decisamente folle e stordente il secondo; prima di arrivare ai nostri giorni scivoliamo sul capolavoro BAD GUY, la sorpresa più bella, una storia d’amore intensa e toccante che tanto cinema europeo sogna soltanto. Se il sommo FERRO 3, oltre che vetta etica ed estetica, restituisce un’idea di perfezione è perché anello di congiunzione: l’altissima poetica del vedere si sposa con il sottinteso politico sfuggente, altrove esplicitato ma qui appena tra le righe, sino al miracoloso equilibrio delle parti. Non una parola di più: rimando ai
Simboli per ulteriori divagazioni, nell’augurare ai nostri lettori buon viaggio in un mondo (a quanto pare) lungi dall’esaurirsi.
Un ringraziamento particolare al direttore Daniele Bellucci, che ha permesso (in tutti i sensi) la realizzazione di questo approfondimento, ed al collega spietato Luigi Garella distintosi per micidiale efficacia ed imperitura pazienza.
Kim Ki-Duk nasce nel 1960 a Bonghwa, nella provincia del Kyonshang della Corea del Nord; compiuti i nove anni si trasferisce a Seul con la sua famiglia, dove frequenta un istituto professionale per l’inserimento nel settore agricolo. Finita la scuola dell’obbligo a 17 anni viene assunto come operaio in fabbrica ma non vi resta molto; appena ventenne si arruola in Marina per un periodo di cinque anni, conoscendo il contatto con la vita militare. In questo momento è colto da una crisi religiosa: la sua strada incrocia quella di una chiesa per non vedenti, con l’intenzione di diventare predicatore. Nel 1990 abbandona la Corea e si trasferisce a Parigi; coltiva la sua passione per la pittura (ma non ho mai avuto un’esposizione ufficiale), si mantiene vendendo i suoi quadri, si avvicina lentamente al cinema. Seppur privo di preparazione accademica muove i primi passi come sceneggiatore; nel 1993 il testo di A PAINTER AND A CRIMINAL CONDEMNED TO DEATH gli vale il premio dell’Educational Institute of Screenwriting. Il debutto alla regia nel 1996 è con CROCODILE, ma il successo internazionale arriva soltanto nel 2000: l’opera quarta SEOM – L’ISOLA partecipa al Festival di Venezia destando un discreto scalpore. Il suo primo film uscito nelle sale italiane è PRIMAVERA, ESTATE, AUTUNNO, INVERNO… E ANCORA PRIMAVERA, con notevoli risultati al botteghino nonostante la firma d’autore, seguito da FERRO 3, vincitore del Premio speciale per la Regia (Leone d’Argento) a Venezia 2004; si attende la prossima uscita di SAMARIA, in concorso a Berlino 2004. Attualmente Kim Ki-Duk sta curando la post-produzione del dodicesimo film, THE BOW, che potrebbe essere presentato al Festival di Cannes. Contrassegnato da un particolare furore artistico, il regista negli ultimi anni per la stesura dei suoi lavori ha raramente superato il mese di riprese.