Grottesco, Sala

KILL ME PLEASE

Titolo OriginaleKill Me Please
NazioneBelgio
Anno Produzione2010
Genere
  • 66520
Durata92'
Montaggio

TRAMA

“Il suicidio sarà presto un diritto costituzionale”. E’ sicuro il dottor Kruger, per questo nella sua clinica tra i monti belgi somministra la morte assistita ai pazienti che lo richiedono.

RECENSIONI


Il regista francese Olias Barco vince il Festival di Roma 2010 con Kill me please. Girato in Belgio, il film raggruppa un pugno di personaggi nello spazio chiuso e intavola una black comedy sul tema dell’eutanasia: è subito metafora. In bianco e nero per abituarsi all'avanzare della morte, si apre con una scena emblematica che coniuga l’aspirazione alla dipartita con il conatus verso la vita: il primo paziente chiede di andarsene nel mezzo del rapporto sessuale con una giovane prostituta. Questo doppio movimento, morte/vita, di fatto è il film; da qui nasce il dato comico e paradossale, che genera ironia da concetti quali l’ultimo desiderio, il tradimento della moglie, la perdita del proprio talento ecc. Dominare la Morte è però un’illusione: somministrandola a sua discrezione, Kruger compie un atto di hybris, dato che questa sfugge al guinzaglio umano e si ritorce contro, anche verso lo stesso dottore, che cederà al “fascino” della Fine. D’altra parte non tutti vogliono davvero morire: per alcuni è la resa alla malattia, per altri l’alibi per i propri fallimenti, la cura per piccoli dolori. In questo senso, l’attenzione si concentra chiaramente sui modi. I “suicidanti” scelgono, rifiutano la modalità estemporanea, quindi escludono l’Incidente e la Guerra: prima la fuga dall’incendio, assurda per una massa di suicidi, poi la “resistenza” contro la rivolta dei paesani, la guerra non è il modo giusto di morire. 


La questione si sviluppa quindi a livello superiore. La pellicola ricostruisce il dibattito attuale sulla morte assistita negli Stati occidentali: la clinica è l’eutanasia (il dottore ne è portavoce), il paese in rivolta è la difesa integralista del diritto alla vita, l’intervento della finanza è l’ingerenza delle istituzioni sulla scelta individuale. Nel nostro presente, sull’annoso problema irrisolto, le tre componenti politiche (pro – contro – governi) si combattono a vicenda come accade nel film. In questa struttura intelligente e oculata comunque Kill me please resta sempre commedia: filmato per inquadrature frontali negli interni, e sequenze di sintesi che raggruppano i personaggi, per poi aprirsi a spazi profondi e ariosi fuori dalla clinica, è un girotondo nero di impostazione francofona, tanto classico nello svolgimento quanto contemporaneo nei fatti narrati. Rispetto agli ultimi anni, Olias Barco offre una trattazione differente sul Tema Eutanasia: né la grave solennità del cinema americano (Million dollar baby) né la problematizzazione militante di stampo europeo (Mare dentro). L'Eutanasia di Barco è scettica, sospende il giudizio e lo scioglie nella risata, rivelandosi per questo più interessante di entrambi; come rovescio il film non spicca il volo proprio nell’aspetto comedy. Qui il ritmo sostenuto non può riscattare una serie di stranezze calcolate, dialoghi espliciti e alcuni simbolismi evidenti (il “dottor morte” si chiama quasi Krueger), una tendenza complessiva alla boutade, allo scherzo facile, e soprattutto la divisione troppo schematica tra i caratteri dei personaggi. Se essi aspirano al valore di simboli per parodiare il nodo trattato, infatti, non sempre si distaccano dagli stereotipi del cinema comico, generando risultati controversi. Nel cast Aurélien Recoing è una spanna sopra gli altri, anche a livello di scrittura, ma impossibile non segnalare la prova trascinante di Zazie de Paris: sorta di Gloria Swanson trans che preferisce la morte al tramonto, questa si esibisce nella rilettura, velatamente anti-sarkozyana, della Marsigliese che muore tra colpi di tosse.