TRAMA
Tre storie di oggi si intrecciano a Mumbai.
RECENSIONI
Film tripartito che vuol riflettere, ponendo il discorso sul piano dell'assurdo, sui radicali mutamenti occorsi nella società indiana, Island City presenta un primo episodio che suona come una sgangherata parodia di un avvitamento burocratico, oramai al parossismo fantozziano, con l'efficienza dell'impiegato ottenuta anche attraverso lo spasso forzato. Il tono è quello di una commediaccia surreale, con critica incorporata al sistema spersonalizzante, in cui l'incubo del lavoro in ufficio assume risvolti quasi kafkiani. Il secondo episodio si mantiene su un piano surreale (il coma del capofamiglia rende finalmente sopportabile la vita agli altri membri del nucleo), laddove non mancano interferenze tra la realtà e l'ossessivo, ipnotizzante flusso televisivo (una telenovela finalmente fruita in libertà, che sembra rispecchiare quanto rappresentato al primo livello). L'ultimo episodio narra di una ragazza che, sedotta dalle misteriose lettere di uno spasimante che sembra conoscerla benissimo, decide di mollare lo spaccone perdigiorno a cui è promessa. La sorpresa finale decreterà la rassegnata marcia indietro. La terza frazione pur apparendo quasi un oggetto a parte, stante la distanza stilistica dalle altre due, si rivela elemento imprescindibile per comprendere il costrutto dell'intera opera: partendo da premesse drammatiche ne collega, infatti, con un filo sci-fi, tutto l'impianto e ogni capitolo, secondo l'adagio contemporaneo di certo cinema e di tante serie televisive (Black Mirror in testa). In controluce la riflessione sull'India moderna a confronto con le esigenze della comunicazione esasperata dell'Oggi, l'ampio uso di device, gli eccessi tecnologici in conflitto con una tradizione culturale di segno assai differente. Pur ingenuo e sfilacciato, qualche spunto il film lo mostra, dando argomenti a coloro (pochi) che, non interdetti dal tono, hanno deciso di non abbandonare la sala anzitempo. Presentato alle Giornate degli Autori 2015.