Horror, Sala

INCARNATE

TRAMA

Dentro il piccolo Cameron c’è un’entità malefica. Il Dr. Ember, con il dono di poter entrare nella mente degli indemionati, cercherà di risolvere il caso._x000D_

RECENSIONI


Incarnate non vuole essere il classico film sull’esorcismo. Segue l’approccio “scientifico” del tormentato Dr. Ember (Aaron Eckhart), che smorza ogni dominante mistico-religiosa. Ne viene fuori un universo con regole di funzionamento ben chiare: il protagonista, raggiungendo uno stato NDE (near death experience), può entrare dentro l’inconscio dell’indemoniato di turno, stabilire un dialogo con lui e cercare di scardinare l’illusione che l’entità sua ospite gli ha imbastito. Da un livello reale alquanto 2.0 (l’allestimento da set per monitorare l’andamento dell’esperienza nell’oltre) si passa a uno virtuale/onirico dove le vittime rivivono in loop una gratificante messa in scena dei loro desideri più profondi. Tocca quindi al Dottore installarsi nella mente del posseduto e risvegliarlo dal suo gratificante incubo.
Niente di nuovo in un modello che ha precursori di tutt’altro stampo, da Nightmare on Elm Street, Matrix fino ad arrivare alle più recenti esperienze extracorporee di James Wan, sebbene un blando tentativo di delineare un immaginario diverso con suggestioni lontane dal tetro occultismo del filone esorcistico è presente.
Pensiamo all’incipit, quando il piccolo Cameron rompe il collo della posseduta che lo ha appena contagiato: la macchina da presa stacca sull’asse e accoglie lo sguardo rosso fuoco del ragazzino che guarda in camera, mentre il titolo Incarnate si sovrappone in un font molto anni ottanta. Brad Peyton vorrebbe così disattendere le premesse, portando la sua opera-fumetto in un pastrocchio pieno di traiettorie sfruttate a dir poco malamente, tra guizzi action (la forza muscolare nel corpo a corpo dell’interfaccia del Dr.Ember in contrasto con la sua reale condizione paralitica), dinamiche in parte sci-fi (il parassita è a suo modo un’entità aliena) e drammi umani sconfortanti (l’eccesso dolente di Eckhart e l’apatia incomprensibile della van Hauten).
La rivisitazione insomma è di una precarietà disarmante, priva di qualsivoglia guizzo espressivo e confinata in snodi narrativi che con flashback, moltiplicazione dei piani illusori e prevedibile colpo di scena finale, fa di Incarnate un esempio di cinema che si ridicolizza nel tentativo stesso di voler trovare una propria originalità.
In un crescendo di effettacci che nulla hanno a che vedere con il probabile (low) budget, passiamo dal richiamo alla leggenda urbana dei black-eyed kids fino a un dettaglio caprone senza senso del villain Maggie.
Al posto di questo cinema "rivitalizzante", meglio l’ennesimo compitino Pov-horror.