Drammatico, Netflix

IL CARDELLINO – THE GOLDFINCH

Titolo OriginaleThe Godfinch
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2019
Durata149'
Sceneggiatura
Trattodal romanzo Il cardellino di Donna Tartt
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Theo Decker è un ragazzino di tredici anni che frequenta la terza media. Un giorno, all’improvviso, scoppia una bomba al Metropolitan Museum dove Theo si trova insieme alla madre.

RECENSIONI

Attesissimo, l’adattamento del romanzo di Donna Tartt - grande successo editoriale a fronte di un tomo cartaceo non proprio maneggevole (quasi 900 pagine) - ha subito avuto vita dura. Le accoglienze, nonostante un discreto hype preventivo, sono state tiepide, tanto che, stante il clamoroso flop negli Stati Uniti, qui in Italia - dove l’accoppiata best seller più Nicole Kidman poteva raccogliere qualche consenso nello zoccolo duro della platea pomeridiana - viene convogliato direttamente sul digitale a pagamento.
Il sottoscritto non è propriamente un fan della scrittrice, che trova tra le più estenuanti del panorama letterario contemporaneo, in bilico costante tra riflessione filosofica e feuilleton. In particolare Il cardellino mi è parso il solito esagerato premio Pulitzer assegnato a un novellone a corrente alternata, che a una buona idea di base (quella, in verità, Tartt può sempre vantarla) opponeva il consueto, ottundente profluvio incontrollato di parole e eventi a catena. Materiale buono, forse, per una serie televisiva più che per un film, come l’opera di Crowley sembra confermarci.
L’impostazione dell'adattamento guarda a quella del romanzo che comincia in una camera d’albergo ad Amsterdam, con il protagonista adulto e buona parte degli eventi già accaduti: si decostruisce, dunque, la cronologia degli avvenimenti e li si rende tessere di un mosaico narrativo che fa delle ellissi e delle elusioni la sua prassi. Procedendo per graduali rivelazioni, favorite dai salti temporali (in avanti e all’indietro), il film parte in modo convincente. Crowley sembra seguire la via additata in questi anni dal regista Stephen Daldry, specializzato in adattamenti letterari difficili e sempre molto disinvolto nei loro trattamenti per i quali si affida a quotati (e arditi) sceneggiatori: qui la penna è di Peter Straughan, noto, tra l’altro, per l’ottima riduzione di La talpa di Tomas Alfredson.

Il film si impernia sul rimorso di Theo per la morte della madre di cui si sente responsabile: il giorno in cui perse la vita, a seguito di un attentato al Metropolitan Museum, i due si trovavano lì per causa sua. Dopo l’esplosione della bomba il ragazzino, miracolosamente illeso, sottrae il quadro Il cardellino di Carel Fabritius che viene dunque ritenuto definitivamente distrutto. Il dipinto, nella lettura del film, non è solo un simbolo indefinito di innocenza perduta, ma, più o meno dichiaratamente, anche del senso di colpa di Theo. Il protagonista convive con quel quadro perché funga da memento della sua responsabilità: Il cardellino è l’espressione di una bellezza che, impacchettata e sottratta alla sua vista, diventa il mezzo che Theo utilizza per castigarsi. È il suo fardello, il suo chiodo fisso, il suo segreto inconfessabile. È un’ottica autopunitiva quella a cui la sua condotta va ad aderire: tutto quello che accade al giovane - dall’accettazione delle manovre degli adulti, all’uso delle sostanze stupefacenti, dagli incontri amorosi frustrati alla carriera truffaldina, fino alla scelta di vendersi a un’idea di famiglia ideale - è conseguenza deviata di quell’evento primario da cui, derivando la sua responsabilità, discende anche il corso sbagliato della sua vita. E il flashback finale, rivelandoci che proprio quel quadro era il prediletto della madre (preferenza espressa pochi istanti prima di morire nell'esplosione), mette il sigillo definitivo su questa ricostruzione: il dipinto, legato all'ultimo ricordo della donna, diventa anche un pezzo di essa che il bambino ritiene di poter materialmente conservare e dal quale, da adulto, non riuscirà più a distaccarsi.

Le premesse dell’intreccio sono ben delineate: la solitudine di Theo in un mondo di adulti - che si presenta, a seconda dei casi, manipolatorio o affascinante, e comunque indecifrabile - si appoggia con naturalezza al tono laconico della scrittura. Ma quando la storia accelera, finisce con l’affastellare troppi personaggi e situazioni in divenire per distendersi adeguatamente nel già impegnativo minutaggio complessivo: diventa così una collezione banale di piccoli grandi colpi di scena e cliché psicoanalitici, sul motivo sotterraneo e costante del conflitto di classe. E in cui il sottile parallelo con la vicenda storica del quadro e del suo autore (Carel Fabritius morì a seguito dell’esplosione di una polveriera) rimane eco sterile. E l’ultima parte, coda thriller lunghissima e sbilanciata, suona (come nel romanzo,del resto) fuori tempo massimo. Per carità, la logica della narrazione è tutta in quadro, ma bastasse la coerenza del racconto a fare un buon film…