
TRAMA
Il telefono_Una donna è terrorizzata da un uomo che la chiama al telefono minacciando di ucciderla; I Wurdulak_Uno straniero rinviene un corpo decapitato e scopre che si tratta di un “wurdulak”, sorta di vampiro che, prima di morire, ha “infettato” il suo assassino; La goccia d’acqua_Un’infermiera ruba l’anello ad una morta non sapendo che si trattava di una medium.
RECENSIONI
Mario Bava è stato rivalutato, a posteriori, dalla critica straniera (Cahiers du Cinéma compresi), che ha reso omaggio alle sue indubbie capacità di messinscena. Il gusto barocco dell’illuminazione, la tavolozza di pastelli volutamente innaturali, intensi e dal sinistro fascino, i movimenti di macchina ingegnosi e un lungo apprendistato nella fotografia e negli effetti speciali gli hanno fornito un patentino di maestro del genere. Resta però un artigiano plastico, con tutte le carenze al cospetto di materie narrative povere, scialbe e prevedibili, anche a fronte, come qui, di fonti di ispirazione autorevoli (“Il telefono” viene da Maupassant; “I Wurdulak” da Tolstoj; “La goccia d’acqua” da Cechov: anche l’esordio di Bava, La Maschera del Demonio tratto da Gogol, aveva la felice intuizione di pescare racconti del terrore griffati al di fuori dei soliti Poe e simili). La sceneggiatura (di Bava, Marcello Fondato e Alberto Bevilacqua) dà il peggio di sé, fra schematismo e dialoghi miseri, nel primo (drammaturgia insapore) e secondo episodio (inesistente resa psicologica) e poco può “abbellirla” la maestria del regista nella costruzione di profilmico e suspense. “La goccia d’acqua”, invece, funziona a meraviglia, proprio perché si lasciano parlare le immagini e perché, per quanto anch’esso scarnificato rispetto all’originale, il soggetto conserva tracce non stereotipate. “Il telefono” è quello con la vena erotica (saffica) più spinta (“I Wurdulak” ha solo sguardi voyeuristici sul seno della Andersen) e piace molto l’ambientazione angusta nello scantinato che, anche grazie ai movimenti di macchina, crea un forte senso di soffocamento. “I Wurdulak” guarda invece alla Hammer, ma Bava non ne sa replicarne l’eleganza in costume, la musicalità sanguinolenta, la raffinatezza di azzardi e sottintesi. “La goccia d’acqua” è invece un gioiello da culto: luci, colori, carrellate e trucchi orripilanti (ma il “cadavere” è convincente finché non diventa un manichino ambulante) contribuiscono ad una tensione ed un’atmosfera memorabili. L’opera nel complesso, però, deve molta della sua fama anche al finale con Boris Karloff (che appare anche nel prologo e nel secondo episodio), puro metacinema che mostra se stesso: vengono inquadrati il set e svelati i trucchi (Karloff sul cavallo meccanico).
