Thriller

CHATROOM

NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2010
Genere
Durata97'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia
Costumi

TRAMA

Cinque ragazzi cercano di scappare dai loro disagi frequentando una group chat, ma la confidenza tra di loro diventerà ben presto un’arma a doppio taglio.

RECENSIONI

Le colorite stanze (mentali) del network come via di fuga dal più riconoscibile grigiume londinese, dai topici problemi (intra)generazionali, luoghi di sharing e confessioni ai limiti della terapia, fonti artificiali per il loro ostentato vitalismo che vorrebbe oscurare un risoluto clima narcolettico consono al semplicistico mal di vivere del teenager. Nakata giochicchia con il suo Chatroom, vi racchiude un compendio di superficiali teoremini sui vari aspetti (principalmente psicologici) del meccanismo virtuale, rimanendo sul banale giudizio che l’illusione cool dell’alterego è un’ulteriore trappola (la stasi dello sguardo fuori e dentro lo schermo), lontana dal risolvere i problemi della vita “vera”.

Persistendo nella sua involuzione occidentale, l’autore non va oltre alla gelida patina paratelevisiva, irrigidendo un’opera che si ritrova bloccata nella vacuità delle sue intenzioni di stile. L’emotività repressa, analgesica del gruppo di personaggi è il sintomo di un’immagine che respinge, lontana anni luce dall’intento di partenza, dal mettere in luce la trappola del web (qui vissuta  come struttura continuativa con la realtà) , che dissolve ogni ammicco al J-Horror, alla sua immanenza temporale-percettiva, ai suoi riferimenti iconografici (la sadica psicoterapeuta che istiga al suicidio, molto vicina a uno yurei, o l’uso del schermo – televisivo – come meta oggetto malefico). 

I segreti della mente scivola dunque tra l’abbozzo teorico svogliato, e di palese trasparenza, e l’incubo mentale, non libero da una messa in scena che sottolinea il proprio processo di allestimento nei motivi caratterizzanti le singole chat (stanze). Rimane la liberazione dal labirinto (che poi non si presta come tale) della rete attraverso l’incontro fisico nella City, sterile other side di uno spazio immaginario dal quale non si scosta minimamente.  Incapacità di discernimento dell’utente? No, il problema è della programmazione a monte.

Il commediografo irlandese Enda Walsh (piéce del 2005), non foss’altro che ha sceneggiato anche il magnifico Hunger di Steve McQueen, ha talento da vendere: mentre sviscera vari traumi giovanili (e sogni, aspirazioni frustrate), analizza anche la natura fittizia e fuorviante delle personalità virtuali della rete. Il modo semplice (chatroom in room, i corridoi della rete) e surreale (con insert di plastilina a sorpresa) in cui Nakata riesce a far correre paralleli realtà e altromondo di byte funziona egregiamente senza rischio del ridicolo, ma ciò che colpisce di più è la direzione (e prova) dei giovani attori, credibile, tormentata e inquietante. Il modo in cui è descritto il pericolo della manipolazione mentale (nonostante questo, il titolo italiano è pessimo e fuorviante) quando adottato da persone che mentono su ruolo, biografia e intenzioni, è reso molto bene a livello psicologico, così come la descrizione di ogni piccolo trauma dei personaggi protagonisti (particolarmente toccante quello di Jim abbandonato dal padre). Lo stesso antieroe di William (con madre stile J.K. Rowling, origine del suo disturbo), in un universo riprodotto dai colori sgargianti, proietta in un mondo virtuale di altri sé le pulsioni autodistruttive che nella (grigia) Realtà non riesce a compiere: il burattinaio senza volto incide il fenomenologico attraverso la finzione. Thriller psicologico anomalo, non per tutti i gusti per eccessi formali e di contenuto che, paradossalmente, descrive delle dinamiche in modo molto aderente alla realtà pur prendendo forma in un Tron antitecnologico.