TRAMA
Una spietata tutrice legale si approfitta di anziani in difficoltà per arricchirsi. Il piano criminale sembra procedere senza grandi ostacoli, almeno fino a quando non truffa la donna sbagliata.
RECENSIONI
Marla Grayson è un'evoluzione della Amy 2.0 de L’amore bugiardo, senza più il gaglioffo Nick tra i piedi e con le idee sempre più chiare. Brama il potere di fare ciò che vuole attraverso l’unica arma che ritiene in grado di fare la differenza: il denaro. Per raggiungere i suoi obiettivi Marla chiarisce fin dal prologo la sua visione del mondo: “la correttezza è un inganno dei ricchi per farci restare poveri”. Non resta che scegliere se essere prede o predatori, leoni o agnelli e al riguardo Marla non ha alcun dubbio, perché si conosce bene e non mente a se stessa, solo agli altri. Stupisce che nel suo cuore granitico resti un posticino anche per l’amore nei confronti della bella e complice Fran, ma il sentimento contribuisce a sfaccettare un personaggio altrimenti a senso unico. Il piano criminale di Marla prevede il raggiro di persone anziane che con la complicità di un medico vengono dichiarate incapaci di badare a se stesse. Si fa quindi nominare loro tutrice, le confina in case di riposo costose e conniventi, elimina qualunque contatto con l’esterno e finisce per impossessarsi dei loro beni annullando le loro vite. La routine delinquenziale prosegue fino a quando un pesce grosso e apparentemente facile, una ricca signora anziana senza parenti, si rivelerà in realtà tutt’altro. Il britannico J Blakeson, che dopo l’apprezzato debutto con La scomparsa di Alice Creed (2009) ha deluso le aspettative con il successivo La quinta onda (2016), alla sua terza regia (ma è anche sceneggiatore e co-produttore) centra il bersaglio di costruire una commedia nera e cattiva, in cui obbliga a parteggiare per il meno peggio. Una sottile crudeltà quella imposta da Blakeson che costringe lo spettatore a prendere posizione nei confronti di una protagonista che si vorrebbe immediatamente vittima dei suoi continui raggiri e che invece sembra sempre farcela nonostante tutto.
Nessun buono e nessun cattivo nella visione di Blakeson, solo cattivissimi. La sceneggiatura gioca continuamente al rialzo e riesce ad avvincere grazie a una protagonista straordinaria (la bravissima Rosamund Pike che quando deve essere perfida non ha rivali) e a un incedere incalzante che sfuma la black comedy in thriller. La parte finale sfiora il grottesco, inciampa nell’implausibile e il finalissimo cade in un moralismo fino ad allora accuratamente evitato, ma l’insieme ammalia e riesce a mantenersi sospeso in un prezioso equilibrio che si colloca tra lo sdegno e la seduzione. Il merito è anche di una grande cura per il dettaglio, che sia un vestito, una sigaretta elettronica o un arredo, e di una colonna sonora in prevalenza di musica elettronica che accompagna in modo suadente gli eventi senza preoccuparsi di doverli sottolineare. Nel mirino di Blakeson c’è ovviamente il sogno americano, qui portato all’estremo fino a deformarlo per evidenziarne le falle, attraverso un blackout del sistema sanitario, legale e capitalistico che nella quasi legalità fa tremare la Costituzione e si abbatte sui più deboli. Oltre alla straordinaria Pike, premiata ai Golden Globe ma esclusa dagli Oscar, e al carismatico Peter Dinklage, fa piacere ritrovare Dianne Wiest, a cui basta come al solito uno sguardo per lasciare il segno.