TRAMA
Méte, esperto grafologo, e Belinda, adolescente inquieta, sono legati da un padre in comune ma non si sono praticamente mai visti né conosciuti. Il matrimonio del padre con una nuova donna è l’occasione per i due di vivere sotto lo stesso tetto per una settimana. Intorno, intanto, la quotidianità incalza.
RECENSIONI
È da circa trent'anni che chi è stato adolescente negli anni '80 - '90 si sente studiare e definire nei modi più disparati da sociologi, opinionisti e artisti, per poi essere alla fine liquidato come indefinibile. Un'entità fuggente, contraddittoria e di difficile catalogazione, dove i pieni e i vuoti si succedono in modo imprevedibile, le ombre nascondono spiragli di luce e ogni luccichio distoglie solo temporaneamente dal grigio. Colpa anche di un contesto al retrogusto di plastica in cui la famiglia, intesa in senso tradizionale, è giunta al capolinea, manifestando soprattutto la sua disfunzionalità, la televisione ha avuto modo di riempire buchi emotivi lasciando emergere la sua malia lobotomizzante, destra e sinistra continuano a essere slogan solo per nostalgici e la contingenza riflette la precarietà dell’economia (ma è vero anche il contrario).
Il libro culto è per molti Generazione X, scritto nel 1991 dal canadese Douglas Coupland, titolo quanto mai emblematico per descrivere l'indescrivibile, ma in tanti hanno provato a dare forme, volti e nomi all'impalpabile. Tra questi anche Sandro Veronesi nel 1990 con il romanzo Gli sfiorati, titolo anche questo molto significativo per provare a circoscrivere chi sembra lontano, distratto, ai margini di tutto eppure dentro ogni cosa, comunque in fuga, soprattutto da un se stesso alieno da qualunque classificazione. Matteo Rovere, alla sua seconda regia dopo Un gioco da ragazze, traspone il testo di Veronesi nella contemporaneità dimostrando il perdurare della vaghezza. I personaggi che si muovono in una Roma protagonista trasversale sono infatti alle prese, prima di tutto, con un'inadeguatezza che li rende assenti, sempre concentrati su di sé, spesso in vetrina, quindi esposti alle intemperie del cuore, ma con la testa in un altrove in cui trovare rifugio o da cui evadere per sempre. È l'evanescenza il loro tratto fondamentale, a cui consegue l'incapacità di stabilire rapporti affettivi solidi, sia familiari che di amicizia o di amore. I legami si cercano ma fanno paura. Si scappa stando fermi. L'indifferenza pare un'arma ma si rivela una trappola.
Un soggetto così fumoso trova una forma non disprezzabile nei luoghi, specchio di amarezze, difficoltà e non detti, ma anche di fermento e vivacità, sia che si tratti di interni che di esterni, in una Roma quanto mai riconoscibile e comunicativa. Meglio i luoghi dei personaggi, in fuga da stereotipi solo nella teoria e alla fine imprigionati nei soliti cliché; ragazzotti borghesi equamente distribuiti tra l'esuberante, l'introverso, lo sfigato, la tardona e al centro di tutto lei, la lolita sinuosa; la fanciulla bella e possibile che dovrebbe incarnare il desiderio nella sua forma più pura e assoluta, ma non va al di là di una carnalità da spot di biancheria intima, mai davvero in grado di uscire dalla patina del glamour rendendosi iconica e bruciante, quindi viva. Sbilanciare il film nel rapporto incestuoso tra fratello e sorella ne disperde le potenzialità, riducendo il ritratto generazionale alla solita storia di insoddisfazione sublimata dal sesso; così come non convince il tentativo di dare senso e razionalità a personaggi che hanno ben poco di concreto da raccontare, più che altro preda dei loro umori.
Tra i punti più bassi i teatrini di un'Asia Argento più misurata del solito (ma lo sbraco è dietro l'angolo) nell'esplicitare il proprio malessere di donna solo in apparenza arrivata; meglio l'incontro tra il protagonista e la nuova moglie del padre, girato ponendo attenzione non solo alle parole, ma anche agli sguardi, ai gesti, ai silenzi. Imbarazzante e bocciato senza appello, invece, il finale in auto, con la famigliola rabberciata che stona a squarciagola "Più bella cosa" di Eros Ramazzotti. Non si capisce se sia una citazione, un sopra le righe catartico, uno sberleffo provocatorio, o chissà cos'altro. In ogni caso ironia e leggerezza sono a miglia di distanza, l’effetto è stridente e conferma la sensazione che il film, come i personaggi, sia incapace di prendere una direzione precisa (commedia? dramma? entrambe le cose?) e realmente empatica.