TRAMA
Newton Knight, soldato sudista, si ribella contro la Confederazione e diventa leader di una banda di disertori, al cui interno convivono bianchi e neri.
RECENSIONI
Per mettere a fuoco Free State of Jones e le scelte di Gary Ross credo sia utile fare un paragone con un altro film vicino nei temi ovvero The Birth of a Nation di Nate Parker. Lasciando da parte l’indubbia sincronicità storica delle due opere, entrambe uscite in un presente quanto mai problematico, che vede un aspro “ritorno” delle discriminazioni razziali in USA, l’aspetto più interessante è sicuramente l’approccio stilistico, diametralmente opposto, che queste adottano nel raccontare la Storia. Se Parker si lancia in un inno (mel)gibsoniano, agiografico, di violentissima protesta che ribolle nell’emotività arty, Ross, invece, predilige un cinema a suo modo sobrio, didattico, con una messa in quadro quasi anodina, interessata principalmente alla ricostruzione degli eventi (dal 1862 al 1865).
Non ci sono guizzi di regia, virtuosismi ed eccessi retorici, l’autore non ne sente il bisogno; cerca tuttavia di professare la lezione del passato e di lasciare aperto un canale di un’eredità che ancora oggi ha la sua sfida da portare a termine. Ecco quindi che il periodo della Guerra Civile Americana, delle Union League e del fermento del Klu Klux Khan, si lega in flashfoward agli anni cinquanta del 900, dove un discendente di Newton Knight viene accusato per un matrimonio misto. Le due linee generazionali ovviamente saranno accomunate da una chiara scelta di opposizione nei confronti del sistema che lascia il testimone allo spettatore. Chi guarda infatti assiste senza necessariamente sprofondare nell’immedesimazione di ciò che viene raccontato, ma la volontà del film rimane quella di creare con lui un patto. Su questo punto è esemplificativo lo sguardo in macchina di Knight dopo la proclamazione del quarto articolo del Free State of Jones: Every man’s a man.
Attingendo ai pro (e contro) della recitazione di McCounaghey, oramai cristallizzata in un’enfasi estatica tra sguardo mistico e intense pause, Free State of Jones si pone come un dramma storico di sincera essenzialità, dove lo stesso protagonista riesce a dialogare funzionalmente con il popolo di ribelli senza emergere e divorarlo nell’epica di certo narcisismo tipico del biopic.
Siamo di fronte a un’opera che non travolge, non regge la sua durata e non suscita chissà quale entusiasmo. Rimane però la sensazione che verrà rivalutata nel corso del tempo.