Azione

FAST AND FURIOUS – SOLO PARTI ORIGINALI

Titolo OriginaleFast and Furious
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2009
Genere
Durata99'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Brian O’Connor indaga per svelare l’identità del famoso trafficante internazionale Antonio Braga. Entrato nella cerchia del boss sotto false vesti, troverà l’appoggio di Dominique Torretto, tornato a Los Angeles per vendicare la morte della fidanzata Letty ad opera dello stesso Braga.

RECENSIONI

Tornano insieme le “parti originali” che hanno dato il via alla saga: Brian O’Connor, nuovamente al servizio dell’FBI, e Dominique Toretto, che si gode la vacanza da pregiudicato a Santo Domingo assaltando le tanto amate “diligenze”. Solito meccanismo che a parte qualche cambiamento di contesto mantiene intatta la propria struttura: il gioco dell’infiltrato, di matrice “poliziesca”, in cui il binomio legalità-illegalità trova un compromesso e si organizza per incastrare la Criminalità che conta; la coppia complementare dei protagonisti, l’uno il prototipo del ragazzo (apparentemente) perbene, pulito, che colma la mancanza di virilità muscolare con l’ingegno (Brian), l’altro il taurino e impulsivo tamarro tout court, icona perfetta del Fast & Furious style, (Toretto) la cui carrozzeria di steroidi riesce però a convivere con un’insperata furbizia (elemento propedeutico alla lotta darwiniana per essere il “migliore”); il mondo del drag racing, ormai misura universale delle qualità e abilità umane (se sai correre risolvi tutti i problemi), protesi feticistico-sessuale di un machismo che trionfa su donne-paraurti troppo finte per non sembrare anch’esse una qualche modifica, immaginario di consumo e (consumazione) che trova linfa vitale da una (sotto)cultura di un materialismo squisitamente trash, etc.
La regia è per la seconda volta affidata a Justin Lin (già autore di Fast and Furious Tokyo Drift, del quale, il film in questione, è il prequel) come la sceneggiatura, opera di Chris Morgan. Una collaborazione che ha degli elementi ben definiti. Entrambi, nei loro rispettivi ruoli tentano di dare spessore alla superficie adrenalinica (perdonatemi la banale aggettivazione): il primo con un uso virtuoso ed enfatico dei mezzi (su tutti i lenti dolly che evidenziano pose, (pseudo)concetti e stereotipi estetici, e la fotografia vividamente patinata, giocata sull’eccesso del contrasti tra timbri diversi di colore), il secondo con dubitabili approfondimenti psicologici dei personaggi, direzioni pateticamente “impegnate” della storia e dialoghi lobotomizzati da luoghi comuni. Lo spirito dell’originario Fast and Furious si sovraccarica così di una pesantezza “tematica” inutile, che svariona la leggerezza disimpegnata verso significati dei quale si potrebbe fare a meno (basta citare la sequenza nella Chiesa in Messico).
Altra particolarità: il clima del taglio Lin-Morgan opta per un’atmosfera più rigida, disillusa rispetto alle soluzioni precedenti (la frizzantezza di Singleton per esempio). Una durezza e una “cattiveria” che sembrano legittimare quest’insieme di approfondimenti contenutistici, innestando problematiche, conflitti e rigori morali, tutto, fuorché essenziali.