TRAMA
Eve più di ogni altra cosa vuole conoscere la diva del teatro Margo, di cui è grande ammiratrice. In realtà la sua ambizione è un’altra.
RECENSIONI
Margo Channing è una grande attrice, ma solo sul palco; Eva Harrington non smette mai di recitare, anche fuori scena, e insidia e infine occupa il trono della diva in declino, non risparmiandosi sotterfugi, inganni, manovre per completare la sua scalata al successo.
Nella guerra della Recitazione (Margo contro Eve), che coinvolge Copione (Lloyd), Regia (Bill) e Produzione (Max), è la Critica (Addison) che ha la meglio, che dirime i contrasti e fa giustizia, decidendo dei destini ed ottenendo, alla fine, esattamente quel che vuole. Se lo sfondo è Broadway (il teatro come grande metafora della manipolazione; Mankiewicz lo ribadirà in Sleuth -) è vero che, molto più latamente, la pellicola si propone come affresco impietoso del cinico mondo dello spettacolo (il teatro 'è ovunque', dice il regista Bill che parte per Hollywood) in cui, dietro la maschera che si esibisce in scena, si tormenta ed è disposta a tutto un'umanità che senza fama e gloria non riesce a sopravvivere: di conseguenza, chi ha ferito di arrivismo (Eve) di arrivismo perirà (il finale che prelude a un contrappasso); chi riesce a ritornare umano (Margo), rinunciando ad una nuova occasione di successo (la parte di Cora), verrà premiato (l'amore, il matrimonio a suggellarlo).
Mankiewicz, regista sempre grande, si dimostra anche sceneggiatore di razza: ironizza con un impianto che gioca col metatesto a ogni pié sospinto (il riferimento agli Oscar all'inizio, nelle parole di DeWitt - il film conquisterà quelli più importanti -), presenta un'impagabile galleria di personaggi - con debolezze e ombre: tutti da amare e da detestare -, sfodera un adattamento - liberissimo, del racconto di Mary Orr - che rasenta la perfezione; iniziando dalla fine, lascia che a riannodare le fila del passato siano tre voci narranti, fuori campo, cosciente spettro che dona prospettive diverse al racconto: Margo, l'epicentro del terremoto artistico; Addison, il custode del Sacrario; Karen, la moglie del drammaturgo, colei che nel microcosmo teatrale vive come doppia spettatrice (dentro il teatro, tra coloro che lo fanno, e nella platea, tra il pubblico), ma mai come diretta parte in causa. I superlativi elementi si innestano in un tutto che non perde mai l'equilibrio, determinando l'esaltante risultato cui contribuisce un cast in stato di grazia: la diva Bette Davis - che si specchia nel ruolo -, la doppia Ann Baxter-Eve («Eve, The Evil», Eva il Male: All About Eve/Evil, allora), infine imprigionata nella sua stessa ambizione -, la soave Celestia Holm - Karen, pedina trascinata nella scacchiera per decidere le sorti della partita - e una svagata Marilyn Monroe - nella sua prima apparizione di un qualche rilievo [1] - che già consegna ai posteri l'immagine di oca nella quale verrà tragicamente congelata. Il critico dandy, impersonato da George Sanders, merita un elogio a parte.
Almodovar ne carpirà lo spunto classico nella consapevolezza magistrale di Tutto su mia madre, sapendo di avere a che fare con il distillato più prezioso del cinema hollywoodiano.
[1] Una profezia quella battuta di George Sanders che, rivolto a Marilyn, profferisce: «Vedo la tua carriera sorgere come il sole a est» .